Di Francesco Carlesi
L’intelligenza artificiale è uno degli elementi fondamentali dei cambiamenti e delle rivoluzioni sul piano tecnologico del presente e del futuro globale. Si tratta di innovazioni e cambiamenti che avvengono a velocità impressionante, impattando tutti i campi del sapere, in particolare quello del lavoro che è il fulcro degli studi dell’Istituto “Stato e Partecipazione”. Come ha notato il Segretario dell’Ugl Paolo Capone sul tema: «Mille tra ricercatori e manager di alto livello nel campo delle nuove tecnologie, fra i quali anche Elon Musk, Steve Wozniak ed Andrew Yang, in una lettera aperta hanno chiesto una moratoria di sei mesi a tutti i laboratori che si occupano di intelligenza artificiale perché si stanno creando menti digitali sempre più avanzate “che nessuno, neanche i creatori, possono capire, prevedere e controllare” e che potrebbero costituire un pericolo per la società. Il punto è che non tutto quello che è tecnicamente fattibile può essere fatto, che ci devono essere dei limiti e solo una sana politica, fondata su valori solidi, e possibilmente in modo bipartisan, avrebbe il potere ed anche il dovere di segnare dei confini, a tutela della comunità umana».
Gli sviluppi della tecnica portano con loro non pochi rischi, in primis sul piano della “società della sorveglianza” (da Heidegger a Travers esiste un’ampia letteratura sul tema) e della perdita di socialità e diritti del lavoro. Si tratta dunque di puntare a non ridurre gli uomini a merce e a “macchine calcolatrici”, come ammoniva Mazzini già nell’Ottocento. Servono limiti, serve una direzione precisa della collettività intesa come “comunità di destino” e non mercato sregolato. A mio parere, le innovazioni non devono essere negate ma piuttosto “cavalcate” e governate attraverso volontà, formazione e soprattutto partecipazione. Finita l’era dei”compromessi” fordista (incentrato sulla figura dell’operaio che Celine paragonava ad uno “scimpanzé” in quanto attore passivo del processo produttivo) e keynesiano, bisognerebbe dunque provare a impostare un cambio di paradigma che veda al centro la comunità e il lavoro, mettendo le “transizioni” al servizio dell’uomo. La sfida in sintesi attiene precisamente alla creazione di un tessuto sociale in cui i lavoratori non siano meri atomi, ma persone partecipi del cambiamento, inserite in un processo di consapevolezza e valorizzazione in cui i migliori possano emergere. Non “imprenditori di se stessi” che si auto-schiavizzano per restare al passo (Byung-Chul-Han) al motto di “non avrai nulla e sarai felice” (come da aspirazioni di Davos) ma persone che cooperano sulla scia del modello Olivetti e di un umanesimo nuovo di cui potrebbero beneficiare tutte le parti sociali. Anche perché, come diceva ancora Mazzini, «nelle condizioni attuali l’operaio che senza interesse materiale o morale nei risultati della produzione non dà se non quel tanto di lavoro necessario a rivendicargli il salario pattuito, ha nella compartecipazione uno sprone a produrre maggiormente e meglio».
L’innovazione è un elemento sempre più centrale del nostro tempo e può essere stimolata da ambienti di lavoro comunitari, che valorizzino le persone e i territori non fermandosi alla mera ricerca del profitto ma allargando il quadro all’ambiente, alla comunità, alla Nazione, al futuro (l’impresa-comunità di cui parla Maurizio Castro nel primo numero di “Partecipazione”). In questo quadro, la partecipazione può essere un fattore legato a doppio filo a progetti di recupero di aziende “fuggite all’estero”, di soluzione delle numerose crisi industriali e di freno alle costanti delocalizzazioni, come ha notato nuovamente Castro. La globalizzazione sta mostrando i suoi limiti, guerre e pandemie fanno riscoprire l’importanza dei settori strategici, ecco allora che si può provare a limitare il “grande elettore nascosto” della finanza (come lo definiva Accame) e delle grandi oligarchie economiche cinesi e americane per riportare in Patria alcuni fondamentali “pezzi” della nostro tessuto sociale così da promuovere ricerca e innovazione. Perché «non esiste progresso intelligente se non c’è una ricaduta seria e vera sul proprio territorio», come ricorda Leonardo Valle.
Questi elementi emergono in alcuni libri che l’Istituto ha avuto l’onore di promuovere quali “La Rivoluzione 4.0” di Mario Bozzi Sentieri e “La Sfida Partecipativa” di Francesco Marrara. Spunti in un dibattito sempre più necessario per capire le complessità che ci aspettano, che andrà affrontanto con lo spirito di Gaetano Rasi, il quale disse: «la scienza quando è priva di una forte convinzione etica e di un impegno civile, non è vero progresso e non contribuisce al perfezionamento dell’uomo». Miriamo dunque a questo perfezionamento, l’intelligenza è tutta qui.
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