di Mario Bozzi Sentieri
“Noi non intendiamo fare tutto da soli. Io credo nei corpi intermedi, nella serietà di chi alcune materie le vive ogni giorno. La politica deve ascoltare e decidere, ma deve anche avere l’umiltà di chiedere a chi le questioni le vive nel proprio quotidiano quali possano essere le soluzioni migliori”. Perciò “aspettatevi di essere coinvolti”: così Giorgia Meloni nel suo primo intervento pubblico post elettorale dal Villaggio della Coldiretti a Milano. Il passaggio non è di poco conto, laddove il richiamo ai “corpi intermedi” e l’appello alle competenze, di chi “le questioni le vive nel proprio quotidiano”, sottolinea una visione ed un metodo di lavoro alternativi rispetto alle tendenze tecnocratiche, che, negli ultimi anni, hanno segnato gli indirizzi dell’esecutivo.
Partiamo dai fondamentali. Per corpi intermedi si intendono le formazioni sociali che rappresentano e si autorappresentano in particolari settori o luoghi della società civile. Sono le categorie produttive organizzate, i Sindacati, il Terzo Settore. Essi sono organismi di prossimità al di fuori delle sedi istituzionali, capaci di creare reti in modo autonomo dalla sfera statale, ma favorendo – nel contempo – l’integrazione del singolo e dei gruppi d’interesse con la macro-entità statuale. Sono – in sostanza – la voce dei territori, degli interessi “reali” dei produttori e della complessità sociale, che chiede di essere “rappresentata”, riconosciuta e valorizzata.
La Costituzione ne parla all’articolo 2, individuando nelle “formazioni sociali” il luogo dove si svolge la personalità dell’uomo. In molti sembrano essersene dimenticati, nel nome di un’umanità “senza vincoli”, sradicata, permeata di individualismo e di fiducia incondizionata nella disintermediazione sociale e politica (in sostanza fare a meno il più possibile di intermediari), e proprio per questo più debole. Matteo Renzi, durante la sua esperienza di governo, ne fu un convinto assertore. I M5S sulla disintermediazione hanno costruito le loro fortune politiche, attraverso un uso spregiudicato della Rete e giocando sulla teoria dell’”uno vale uno” e sull’utopia di una società orizzontale, trasparente, senza gerarchie.
Nel contempo però non sono mancate significative “sacche di resistenza”. La Chiesa Cattolica pone i corpi intermedi al centro della propria Dottrina sociale, in relazione al bene comune, allo Stato, alla sussidiarietà, alla partecipazione, all’economia, al mercato e perfino alla comunità internazionale. Il Sindacalismo Nazionale declina intermediazione e processi partecipativi. In ambito “riformista” Maurizio Sacconi (nel suo recente libro-intervista Passato, presente e futuro della rappresentanza di interessi , Adapt University Press, 2022) guarda ai “corpi intermedi” quali espressione di una “rappresentanza forte, plurale, partecipata, libera, diffusa”, in grado di evitare un ritorno allo Stato espressione di una Società atomistica, composta da individui singoli e irrelati.
Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini nell’introduzione di Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani (Il Mulino, 2021) si chiedono: “Può il nostro Paese (e più in generale possono le democrazie mature dell’Occidente) fronteggiare le grandi sfide del nostro tempo – la competizione globale, il cambiamento climatico, la rivoluzione digitale e tecnologica, le migrazioni di massa – senza il contributo delle formazioni sociali intermedie, capaci di organizzare la partecipazione alla vita politica e sociale, di mobilitare energie dal basso intorno a obiettivi o interessi comuni, di supplire o mitigare gli effetti dei fallimenti dello Stato e del mercato? E si può superare la crisi di legittimazione e rappresentatività delle istituzioni politiche e dei partiti democratici senza un rinnovato protagonismo dei corpi intermedi nella organizzazione della partecipazione dei cittadini alla formazione degli orientamenti e delle scelte politiche?”.
La questione – come si vede – è apertissima e Giorgia Meloni, con il suo richiamo ai corpi intermedi, si può dire che sia non solo in continuità con una ricca tradizione culturale e sociale, che ora chiede di essere nuovamente rappresentata ed incardinata nell’azione di governo, ma anche con le aspettative del mondo del lavoro, della produzione e del Terzo settore.
Il Palazzo apre le porte al Paese reale. Un’occasione significativa lungo i percorsi della Ricostruzione nazionale, nel nome della concretezza e degli interessi delle categorie produttive e della società. Siamo evidentemente alle prime battute di un percorso, ma c’è da ben sperare.
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