Partecipazione dei lavoratori: modelli a confronto per una via italiana alla cogestione

Partecipazione dei lavoratori: modelli a confronto per una via italiana alla cogestione

di Francesco Guarente

La partecipazione dei lavoratori nel nostro Paese è argomento di discussione da diversi anni ormai, declinata in differenti forme e proposte. Nei primi anni della nostra Repubblica gli unici soggetti che continuarono a tener “viva la fiamma dell’idea” furono il Movimento Sociale Italiano e la CISNAL, espressione del sindacalismo nazionale, oggi UGL. Le proposte rimasero lettera morta, nonostante la predominanza istituzionale dell’allora partito Stato, la Democrazia Cristiana, la quale era permeata dagli ideali della Dottrina Sociale della Chiesa che avevano alla base l’idea partecipativa. Ad ogni modo l’avversione ideologica da parte della CGIL e del Partico Comunista relegarono per ovvi motivi la discussione su questi temi nell’angolo della storia, sembrando ormai sepolti e dimenticati.

Ma come un fiume carsico la partecipazione è tornata ad essere tema di studio e di dibattito. Il 01/02/2024 presso le commissioni riunite di lavoro e finanze della Camera dei deputati sono iniziate le audizioni per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione in merito alla partecipazione dei lavoratori. Con l’apertura del 2024 la discussione politica sindacale in merito all’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione è ritornata nuovamente all’attenzione dei partiti politici e dei movimenti sindacali. I primi ad essere auditi sono state le quattro confederazioni maggiori del sindacalismo italiano, la CGIL, la CISL, nella particolare veste di audita e proponente per aver depositato una propria pdl, la UIL e la UGL che in quella sede oltre l’analisi delle proposte presentate ha depositato un proprio articolato strutturato con l’Istituto Stato e Partecipazione. Le proposte in discussione in commissione sono state 5, una di iniziativa popolare, della CISL, n. 1573 che ha raccolto circa 400.000 firme, una di Fratelli d’Italia n. 1617 a prima firma del capogruppo Foti, una proposta della Lega a prima firma dell’onorevole Molinari n.1184, una di Italia Viva d’iniziativa dell’onorevole Faraone n. 1299 e ultima la numero 1310 a prima firma dell’onorevole Mollicone di FDI. In quella sede è stata ufficialmente presentata dall’UGL la proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori in collaborazione con l’Istituto Stato e Partecipazione, già pubblicata e presentata sulle colonne di questa rivista nell’ormai lontano gennaio 2022.

Il 26 febbraio scorso, la camera dei deputati ha approvato la proposta di legge di iniziativa popolare n. 1573 proposta, mediante raccolta firme, dalla confederazione sindacale cattolica della CISL. Al netto della propaganda, a mio avviso anche legittima in determinati contesti, che viene fatta sui social da questo o quel politico in merito alla partecipazione dei lavoratori, qui cercheremo di entrare un po’ di più nel merito della pdl. Importante premessa, ad avviso di chi scrive, è che l’eventuale e definitiva approvazione di questa proposta anche al Senato della Repubblica è senza alcun dubbio un passo in avanti. Durante i lunghissimi 77 anni di vita della Costituzione mai era stata approvata una legge dedicata esplicitamente alla partecipazione. Negli anni passati ci sono state leggi che richiamassero ad essa o invitassero, previe agevolazioni contributive e fiscali, alla sua applicazione. Questo, tuttavia, sempre in un contesto normativo più ampio che mirasse a regolamentare, o deregolamentare, altre dinamiche giuslavoristiche. Mentre l’attuale pdl mira esclusivamente all’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione.

Naturalmente è solo l’inizio di un percorso politico e sindacale che abbia come fine ultimo la realizzazione della partecipazione, o meglio della via italiana alla partecipazione, pietra miliare per la vera democrazia nel lavoro e per la reale entrata del mondo del lavoro e dei lavoratori nelle decisioni politiche ed economiche che impattano sulla vita della Nazione e su tutte le classi e categorie che la compongono. In sostanza la partecipazione è ancora di là da venire, questa proposta di legge è una base di partenza affinché una nuova “aristocrazia del lavoro” possa portare nuova linfa alla nazione oltre le classiche organizzazioni partitiche. La partecipazione s’ha da fare!

In questo contesto dedicheremo maggior attenzione alla proposta della CISL e alla proposta della UGL e dell’Istituto Stato e Partecipazione, cercando di evidenziarne punti in comune e differenze. Le altre proposte, assolutamente valide saranno materia di futuri approfondimenti.

La proposta della CISL tra quelle discusse in commissione è senza dubbio la più completa, ma soprattutto di maggior peso politico sindacale poiché prodotta in seno ad una delle maggiori centrali sindacali della Nazione. La proposta di iniziativa popolare della CISL introduce all’articolo 2 le definizioni delle diverse forme di partecipazione, che comporranno i successivi capi della pdl. Tra i più importanti la “partecipazione gestionale”, la “partecipazione economico e finanziaria”, la “partecipazione organizzativa” e la “partecipazione consultiva”. Il Capo II apre alla partecipazione gestionale, cioè gli strumenti previsti dalla pdl attraverso i quali i lavoratori collaborerebbero alle scelte strategiche dell’azienda. La pdl introduce due diverse tipologie di partecipazione, una per le società con sistema dualistico ed uno per le aziende che non adottano questo sistema. Da sottolineare che per entrambe la partecipazione non è obbligatoria ma lasciata alla libertà delle parti, cioè alla contrattazione collettiva, come recita testualmente la legge “i contratti collettivi possono prevedere la partecipazione…”. Premettendo che la libertà delle parti è essenziale per il nostro sistema di relazioni industriali, ma la non obbligatorietà della partecipazione pone un freno sostanziale alla sua applicazione. In tutte le pdl di cui sopra l’elemento comune è la non obbligatorietà, diversamente dall’articolato della UGL/Ispa. La questione è meramente politica, poiché dopo 77 anni dell’entrata in vigore della Carta costituzionale è arrivato il momento di applicare l’articolo 46, delegare alla libertà delle parti significa, molto probabilmente, lasciare tutto così com’è oggi. Basti pensare che nell’ultimo rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, in scadenza quest’anno il cui rinnovo è arenato per volontà datoriale, è presente un riferimento alla partecipazione, ma poche aziende l’hanno applicato. La stessa Francesca Re David, segretario nazionale della CGIL, durante l’audizione del febbraio del ’24 sottolineò la poca incisività della pdl della CISL in virtù della non obbligatorietà. Questo è un punto divergente tra la proposta di iniziativa popolare e l’articolato UGL/Ispa, poiché quest’ultimo prevede l’obbligatorietà per le aziende con oltre 99 dipendenti di adottare la partecipazione, lasciando ovviamente la libertà alle parti di organizzarla, ad esempio per quanto concerne la divisione degli utili o le modalità di elezione dei rappresentanti dei lavoratori.

Ad ogni modo, come accennato prima, la proposta di legge prevede la partecipazione dei lavoratori per le aziende a sistema duale e non. Nel primo caso la contrattazione può prevedere l’elezione dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, mentre per le società non duali la contrattazione può prevedere l’elezione dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio d’amministrazione. Le società a sistema duale prevedono due organi in sostituzione ai classici Consiglio d’amministrazione e collegio sindacale: essi sono il consiglio di gestione e il consiglio di sorveglianza. La proposta della CISL prevede l’elezione di rappresentanti dei lavoratori in quest’ultimo consiglio. Da notare che nonostante l’approccio duale sia un sistema interessante, esso è poco utilizzato nel nostro Paese, prevalentemente settore bancario e assicurativo. Si rischia quindi una norma manifesto, qualcosa di poco concreto. Mentre per le aziende, diciamo ordinarie, la norma prevede l’elezione, previo consenso delle parti, dei rappresentanti dei lavoratori nel CDA. Naturalmente è un’ipotesi di partecipazione, ma il rischio concreto di mischiare il ruolo del lavoro con quello del capitale è altissimo. Il CDA rappresenta in sostanza gli azionisti e i rappresentanti dei lavoratori potrebbero subire pressioni e svuotare il compito principale loro assegnato dalla norma, cioè equiparare il lavoro al capitale nella gestione aziendale. Durante l’audizione del 01/02/2024 fu posta diverse volte la questione da taluni onorevoli presenti in Commissione, non trovando però nel testo della CISL risposta.

Questa è una ulteriore differenza con la proposta UGL/Ispa, perché nel caso di specie la pdl dell’Istituto introduce organi ad hoc con poteri specifici con lo scopo di evitare confusione e pressioni esterne al ruolo dei rappresentanti dei lavoratori. Vengono introdotti due organi differenti, il Comitato di Partecipazione per le aziende da 100 a 500 dipendenti ed il Comitato di Gestione per le società oltre o 500 dipendenti. Sarà la contrattazione nazionale o di prossimità, a tutela della libertà delle parti, a specificare le modalità di composizione del Comitato di Partecipazione e del Comitato di Gestione. Ai suddetti organi di cogestione la pdl prevede il riconoscimento di differenti poteri. Al Comitato di Partecipazione è riconosciuto il diritto all’informazione e consultazione in merito al posizionamento strategico e di assetto competitivo dell’impresa; politiche di investimento, di innovazione tecnologica e di innovazione organizzativa; politiche di dovuta diligenza e modello di gestione ed organizzazione eventualmente adottato dall’impresa; politiche energetiche e ambientali e politiche di approvvigionamento seguite dall’ impresa, con particolare riguardo ai rischi presenti nella complessiva catena di fornitura a monte e a valle; relazioni comunitarie, con particolare riguardo ai territori di riferimento per l’insediamento dell’impresa e alle loro istituzioni locali.

Per il Comitato di Gestione, per aziende con più di 500 lavoratori, oltre alle competenze di informazione e consultazione attribuite al Comitato di Partecipazione, compete l’emissione di un parere preventivo, di natura obbligatoria ma non vincolante su talune materie, tra le quali: il bilancio di esercizio annuale; la DNF (dichiarazione non finanziaria) di cui al D. Lgs. 254/2016; il modello di organizzazione e di gestione di cui al D.Lgs. 231/2001; il bilancio sociale; i piani di investimento, anche pluriennali, in prodotto e in processo di importo superiore al 7,5% del fatturato annuo; l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile di cui all’art. 2086, comma 2, cod. civ.; l’adozione e l’attuazione degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento delle crisi; le scelte di rilevante impatto strategico sulla natura e sulla struttura dell’impresa, nonché sul suo assetto competitivo (acquisizioni, dismissioni, alleanze industriali e commerciali, apertura di nuovi mercati, ristrutturazioni, riconversioni e riorganizzazioni, delocalizzazioni e rifocalizzazioni, misure significative di welfare aziendale, ecc.).

È altrettanto opportuno in questa sede sottolineare che la pdl di iniziativa popolare aveva introdotto, all’articolo 5, una disciplina della partecipazione per le aziende a partecipazione pubblica, cosa che manca assolutamente nella pdl dell’Istituto Stato e Partecipazione. Purtroppo in commissione lavoro gli emendamenti voluti dalla Lega hanno soppresso l’articolo 5 originario della proposta di iniziativa popolare.

Il Capo III della proposta CISL introduce la partecipazione economica e finanziaria dei lavoratori, in sostanza la cosiddetta divisione degli utili. Il sindacato cattolico arriva alla divisione degli utili attraverso due sistemi, il primo con la classica distribuzione non inferiori al 10% degli utili d’impresa, mentre la pdl Ispa prevede, in assenza di indicazioni da parte della contrattazione, una distribuzione del 15 % o del 20 % del MOL (Margine operativo lordo), detassandolo fiscalmente al 5% come del resto proposto anche dalla pdl della CISL. In aggiunta nella pdl UGL/Ispa è introdotta la decontribuzione totale carico azienda per i valori erogati a titolo di distribuzione degli utili. Nel medesimo capo la proposta CISL introduce in maniera dettagliata i piani di partecipazione finanziaria, elemento mancante nella proposta UGL/Ispa.

Ulteriore differenza tra le due proposte è il diverso ruolo ritagliato dalla pdl della UGL/Ispa al ruolo delle RSU/RSA. Alla base della proposta vi è l’idea dell’impossibilità di eliminare del tutto ogni forma di frizione tra lavoro e capitale, in virtù di ciò è stato previsto un unico giorno per le elezioni dei due rispettivi comitati e per le RSU/RSA lasciando a quest’ultime il ruolo di confronto, esercitando la rappresentanza e la relativa titolarità contrattuale, come previsto dalla legge, dagli accordi interconfederali e dai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale e aziendale. Quindi si apre ad un sistema a doppio binario, tipicamente italiano, tra le rappresentanze unitarie ed un organo specifico (Comitato di Partecipazione o di Gestione) che accentra i poteri di controllo, consultazione e direzione dell’azienda. La pdl di iniziativa popolare invece introduceva per la partecipazione consultiva, fatto salvo quanto previsto dalla legge o dalla contrattazione, per le imprese con oltre 50 dipendenti, l’obbligo di convocare i rappresentanti dei lavoratori (RSU/RSA) almeno una volta all’anno nell’ambito di commissioni paritetiche su tematiche quali: scelte strategiche; piani industriali; modelli organizzativi. Purtroppo anche in questo caso è stato emendato l’articolo togliendo l’obbligo della convocazione annuale ed eliminando le dettagliate tematiche prima elencate, lasciando un generico “Nel caso di consultazione sugli argomenti di competenza negoziale, le commissioni paritetiche possono fornire materiali ed elementi utili al tavolo contrattuale”. Estremamente interessante, invece, era la proposta della CISL all’articolo 15 dove veniva introdotto la “Consultazione preventiva e obbligatoria negli istituti di credito, nelle banche e nelle imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali” su tematiche delicate come, ad esempio, le politiche di remunerazione del personale, compresi i dirigenti e gli amministratori. Sfortunatamente anche in questo caso la discussione politica in commissione è stata troppo poco temeraria preferendo sopprimere l’articolo senza provare a variarlo.

Ad ogni modo le due proposte hanno delle differenze sostanziali come l’obbligatorietà e la volontarietà, o il ruolo diverso dato alle RSU o la creazione di organi specifici per la futura governance dell’azienda partecipativa, però sono orientate entrambe verso un futuro di cogestione e democrazia reale all’interno del mondo del lavoro.

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