POLONIA E UNGHERIA E I RICATTI DELL’UNIONE EUROPEA

POLONIA E UNGHERIA E I RICATTI DELL’UNIONE EUROPEA

Di Flaminia Camilletti

I nuovi nemici dell’Europa sembrano essere diventati Polonia e Ungheria. La seconda in effetti sembra esserlo già da tempo, almeno da quando è guidata da Viktor Orbàn, messo sotto la lente d’ingrandimento dei burocrati di Bruxelles.

Il peccato originale in questo caso consiste nel voler rifiutare i prestiti erogati dallo strumento finanziario Next Generation Eu, conosciuto ai più come Recovery Fund, a causa della clausola sullo Stato di diritto. Lo strumento, infatti, vincolerebbe chi ne fa uso a rispettare lo Stato di diritto, una condizione che pone chi governa sotto un costante giudizio morale ed etico. Il concetto di Stato di diritto nasce insieme allo Stato moderno, ma non esiste una definizione universale per descrivere cosa debba rappresentare. Genericamente viene identificato come “Forma di Stato di matrice liberale, in cui viene perseguito il fine di controllare e limitare il potere statuale attraverso la posizione di norme giuridiche generali e astratte”. 

Quindi oggi viene considerato come un presupposto per garantire libertà e diritti che non sempre sono conosciuti come universali. L’Europa, come spesso accade, sta tentando di imporre una visione del mondo unilaterale invocando in quest’occasione una definizione di forma di stato che vuol dire tutto e non vuol dire nulla. Giorgia Meloni, tra gli altri, sostiene che “Polonia e Ungheria vogliono difendere le radici classiche e cristiane d’Europa e i propri confini dall’immigrazione illegale di massa” e lo dice perché potrebbero essere proprio queste le prime violazioni secondo il regolamento del Recovery fund. I due Stati, quindi, altro non fanno che ribellarsi ad un‘imposizione esterna non richiesta all’interno del proprio Paese.

Ad esempio, chi in Europa non riconoscerà il diritto al matrimonio tra le coppie omosessuali secondo le linee guida europee non starebbe applicando lo stato di diritto. Helena Dalli, commissario europeo per l’Uguaglianza, in occasione della presentazione della strategia della UE sull’uguaglianza delle persone LGBTQI, ha dichiarato che “quei paesi membri in cui non vigono linee guida nazionali per gli LGBTQI, saranno sollecitati ad adottarle”.  Non si tratta più solamente di adottare linee guida di austerity come fu per la Grecia, ma anche di imporre visioni del mondo politicizzate e per nulla condivise universalmente. Di certo non esiste nulla, proprio perché non esiste una definizione riconosciuta da tutti per lo stato di diritto. Quindi si comprende facilmente perché il ministro della giustizia ungherese, Judit Varga, ha affermato: “la base giuridica è infondata, il campo di applicazione è vasto, le misure sono arbitrarie e la procedura è priva di garanzie di alcun significato”. Non esiste nessuna certezza legale e a pagarne le conseguenze saranno solo quei Paesi che non si uniformeranno al “pensiero dominante”. Alla luce di questo non sembrano essere così mostruose le posizioni di Polonia e Ungheria, alle quali si dovrebbe affiancare anche la Slovenia, anche perché molti Paesi si stanno rendendo conto di poter operare anche con i propri strumenti per riuscire a far fronte alla crisi. A tal proposito le parole di Christine Lagarde risultano a dir poco eloquenti: “L’eurosistema in quanto unico emittente della nostra moneta potrà sempre generare tanta liquidità quanta ne serve. Quindi per definizione la Bce non potrà mai finire i soldi né andare in banca rotta”. Ha anche aggiunto che il motivo per cui non si possono cancellare i debiti del Covid risiede nei nostri Trattati, ovvero nelle leggi che ci siamo fatti da soli. Questo serve a sottolineare che ancora una volta politica ed economia non sono e non saranno mai slegate, perché ogni decisione di politica economica deriva da una precisa posizione politica. Alla faccia della tecnocrazia.

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