Quale strategia per l’Italia di Draghi?

Quale strategia per l’Italia di Draghi?

di Emanuel Pietrobon

Il nuovo esecutivo sembra essere nato sotto i migliori auspici e con i migliori propositi: favorito dall’amministrazione Biden in chiave antiturca e antirussa e benvisto da Francia e Germania alla luce dei trascorsi e delle competenze di Mario Draghi, il “salvatore dell’euro”, nonché oggetto di plauso tra gli addetti ai lavori che nelle stanze dei bottoni attendevano la resurrezione geopolitica e diplomatica dell’Italia.

Le prime mosse nell’arena internazionale suggeriscono che Draghi non voglia venire meno agli impegni presi né deludere le aspettative dei sostenitori:

  • Una missione in Libia, durante la quale si è discusso esplicitamente di ristabilire la primazia italica in loco
  • Uno scandalo spionistico di guerrafreddesca memoria ad uso e consumo della lobby atlantista e utile a ribadire la “scelta di campo” chiara e netta dell’Italia nella cd nuova guerra fredda
  • Una breve ma eloquente missione tra Somalia e Gibuti
  • L’abile sfruttamento del non-incidente diplomatico di Ursula von der Leyen, poiché effettivamente basato sul nulla e frutto di un errore di protocollo, per lanciare un attacco frontale e durissimo (quantomeno verbalmente) a Recep Tayyip Erdogan

Turchia e Russia, senza trascurare né dimenticare la Cina, questi saranno gli obiettivi che Mario Draghi prioritizzerà nell’agenda estera in formazione del neonato esecutivo. Mancarli si rivelerebbe esiziale: verrebbe meno l’appoggio euroamericano ad un’Italia sulla quale si vuole puntare e scommettere per il recupero del Mediterraneo allargato. A quel punto, tradite le aspettative degli alleati, la Casa Bianca potrebbe decidere di delegare l’intero fascicolo alla Francia – che non aspetta altro.

Il compito di Draghi non è non è sarà semplice: l’Italia esce da un decennio di sonno profondo, o meglio di coma, caratterizzato da un’abulia e da un’apatia totali. Non è che siamo stati soltanto immobili, abbiamo anche ceduto terreno, riuscendo a riparare i danni soltanto grazie al supporto prezioso della diplomazia – che ha colmato (in parte) i vuoti della politica permettendo la nostra trasmigrazione dal Mediterraneo all’area compresa tra Azerbaigian e Asia centrale.

La missione di Draghi non sarà semplice, si scriveva, perché dieci anni di inazione sono tanti, troppi, e l’Italia non entra in Libia da grande potenza – come nei primi anni 2000 – ma come un concorrente tra i tanti. Un concorrente capace, certo, ma comunque né più né meno importante e prestante di Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto e Francia.

La situazione non è migliore nei Balcani occidentali e nell’Africa orientale, dove la Turchia è subentrata a noi in ognuno dei nostri storici avamposti – Albania, Somalia, Bosnia, Kosovo, eccetera – facendo leva su commercio, investimenti, cooperazione umanitaria, cultura, religione e difesa. Che il posto al Sole dell’Italia sia divenuto il posto al Sole della Turchia lo abbiamo scoperto all’epoca del caso Silvia Romano, cioè quando si è reso necessario l’intervento dei servizi segreti turchi per la liberazione della cittadina italiana, ma innumerevoli sono gli esempi che potrebbero essere fatti.

Alcune cose le sappiamo:

  1. La rete spionistica italiana nello spazio ex coloniale è anacronistica, ha bisogno di essere riciclata e riscritta ex novo. L’alternativa è l’inevitabile sconfitta nella competizione tra grandi potenze.
  2. Il commercio da solo non basta. L’Italia non può continuare a “militarizzare” il commercio, sfruttandolo come se fosse un’arma nella speranza e nell’aspettativa che un elevato interscambio possa avere riverberi in altri settori. La cooperazione extra-commerciale va ricercata, occorre proattività. Le eccellenze nostrane devono investire e tentare l’azzardo nei settori strategici: energia, sanità, infrastrutture, difesa, alta tecnologia.
  3. Non va dimenticato il fattore potere morbido: la Turchia ha riesteso l’influenza nello spazio ex ottomano facendo leva su un’economica strategia di condizionamento ed espansione culturale, che, chiaramente, collide con gli interessi italiani. Non si potrà vincere la Turchia in assenza di un’adeguata contro-strategia culturale: l’Italia deve tornare a promuovere la sua lingua e la sua cultura e penetrare nel mondo mediatico del proprio estero vicino.
  4. Non va dimenticato che coltivando l’inimicizia della Russia, anch’essa presente in Libia, si rischia di spingerla nelle braccia della Turchia. Una partita equa diverrebbe insostenibile, perché un uno contro uno diventerebbe uno contro due. E, non meno importante, trattasi di una partita giocata da una potenza in declino e poststorica – come è l’Italia – contro due potenze caratterizzate da una forma mentis imperiale, pienamente storiche e avvezze alla diplomazia delle cannoniere.

Quale strategia per l’Italia di Draghi, dunque? Non andrebbe abbandonata la peculiare tradizione italiana della fedeltà all’atlantismo controbilanciata dalla linea morbida con il Cremlino, perché ci rende un ponte tra i blocchi, così come non andrebbe cercato lo scontro frontale con la Turchia, né in Libia né altrove, perché trattasi di un attore storico, realista, imperiale e dinamico, quattro caratteristiche che noi non possediamo. In sintesi, l’Italia dovrebbe cercare di tenersi ai margini del confronto egemonico russo-americano – mantenendo in vigore le sanzioni ma evitando escalazioni fini a se stesse e utili soltanto a deteriorare le relazioni con la Russia – e preferire alla rivalità “dura” con la Turchia una competizione antagonistica e sleale. Sleale perché se l’Italia sfruttasse al massimo i mezzi che ha a disposizione – investimenti, commercio, energia pulita, cooperazione umanitaria, alta tecnologia, difesa, eccetera –, introducendo al contempo degli elementi culturali (media, lingua, cultura, religione, università, eccetera), la Turchia non avrebbe modo di tenere il ritmo e sarebbe coartata ad accettare un riaggiustamento dei ruoli (a nostro favore) nel Mediterraneo allargato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà reso pubblico.