(segnalazioni) MA DAVVERO NON C’E’ BISOGNO DEL CNEL?

(segnalazioni) MA DAVVERO NON C’E’ BISOGNO DEL CNEL?

di Paolo Pirani – Consigliere Cnel (pubblicato su “IlDiarioDelLavoro.it”)

Si riparla di riforme in Italia e la prima sortita dall’opposizione di Matteo Renzi è la raccolta di firme lanciata dalle pagine del Riformista per l’abolizione del Cnel. Una Istituzione, si dice, di cui non c’è bisogno. Se è questo il primo … attacco al potere di Italia viva, viene spontaneo commentare che sia il caso di raddrizzare la mira. Del resto “il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza” ricordava Oriana Fallaci, niente a che fare con ruoli istituzionali.

Vero è che l’abolizione del Cnel era presente nel pacchetto dei famosi Referendum su cui inciampò lo stesso Renzi e che aveva l’obiettivo di rimettere in sesto un assetto delle Istituzioni italiane avvertito come lontano dai cittadini ed avviato verso un declino per nulla rassicurante.

Quel declino, fra alti e bassi, non pare si sia arrestato e, di certo, non per responsabilità del ruolo del Cnel. Ben altre sono le priorità che andrebbero soddisfatte per restituire alla nostra democrazia una vitalità offuscata e che, in buona parte, è sorretta dall’impegno del Capo dello Stato. Le decisioni che contano sfiorano soltanto le aule del Parlamento, i decreti legge sono ormai da tempo una normalità che ogni coalizione al Governo eredita disinvoltamente, la partecipazione è sempre più una parola vuota, questioni fondamentali, come ad esempio la rigenerazione della sanità italiana, si perdono nella confusione sempre più evidente degli intrecci fra Stato centrale e autonomie locali a danno dei cittadini.

E fra le righe si nota una nuova avanzata di un tardo liberismo dietro il quale agiscono i veri poteri, le lobby senza volto, che sono svincolati dai confini nazionali come pure da obblighi di trasparenza. E, nella involuzione di questa situazione, si affacciano pericoli di corporativismo, contro il quale nell’architettura della costituzione democratica e repubblicana nasceva il Cnel.

Anche un grande esperto di Istituzioni come il professore Cassese accantona il Cnel con un sentenza liquidatoria, tacciandolo di irrilevanza, mentre esulta per il ritorno di fiamma della cultura francese nei riguardi del tema dell’importanza dei gruppi di interesse che “non decidono ma influenzano e negoziano” le decisioni da prendere. Rimane un mistero però, sul perché la Francia dai gilet gialli, alle proteste violente sulla riforma delle pensioni, sia attraversata da un malessere sociale di grandi proporzioni che vede una frattura netta fra vertici e base sociale del Paese che, certamente, non si ricompone con l’azione di quella che Cassese denomina la fabbrica segreta della politica.

In realtà il Cnel è un falso bersaglio. Semmai il vero problema sarebbe quello della lunga sudditanza della politica dai potentati economici e finanziari che hanno inquinato, non va dimenticato, anche le Istituzioni europee. Ed ha generato di conseguenza scelte sul piano economico e sociale che hanno, semmai, aumentato le diseguaglianze, ritardando veri processi riformatori e politiche economiche che, evidentemente, le lobby considerano un intralcio inaccettabile ai loro disegni.

Ma cosa vorrebbe significare l’abolizione del Cnel allora? Intanto si perderebbe il migliore e più autorevole osservatorio della contrattazione nazionale. Non è un mistero che è l’unica Istituzione che conserva tutti i contratti di lavoro, e che, proprio per tale motivo, può utilmente offrire considerazioni fondate su cosa effettivamente avviene in Italia, al di là delle polemiche di basso profilo ideologico che si sono prese la scena come nel caso della precarietà o del salario minimo.

Ma, soprattutto, verrebbe a mancare il più credibile assertore di quella strategia di partecipazione nella vita economica e sociale che oggi appare insostituibile se si vogliono davvero superare le difficoltà derivanti dalle crisi e dai mutamenti profondi nel mondo del lavoro, prodotti dalla società digitale. La presenza delle parti sociali ed il dialogo fra di esse dovrebbero essere considerati più che mai un contributo importante per evitare il caos sociale e per fornire indicazioni utili per una nuova democrazia industriale, rispettosa dei valori del lavoro. Senza il Cnel sarebbe molto più agevole fare spazio a pratiche liberiste che, a loro volta, sarebbero in grado di esautorare i poteri delle Istituzioni, generando al tempo stesso un’area grigia nei rapporti fra soggetti finanziari e politici di cui la nostra democrazia ne farebbe le spese.

Eliminare il Cnel però vorrebbe dire anche tornare a quella delegittimazione del ruolo dei sindacati che, specialmente agli inizi del terzo millennio, è stata tentata di volta in volta dalle più diverse forze politiche, quasi che fosse quella la scorciatoia per ridurre la crescente ostilità della opinione pubblica verso una vita politica arroccata sui suoi interessi di potere. Del resto il Cnel ricorda visibilmente l’esigenza di concertazione nel nostro Paese che non ha perso ragioni, semmai con la stessa insorgenza della inflazione ne ha acquisita di più urgenti. Occorrerebbe infatti riflettere sulla opportunità di attuare schemi aggiornati di politiche dei redditi, di collegare le risorse del Pnrr ad un confronto reale e concreto fra Governo, forze politiche e forze sociali, cosa che è clamorosamente mancata finora. Insomma si dovrebbe ricollocare anche il Cnel in una posizione tale da favorire il lavoro di Governo e Parlamento, nel necessario impegno di ricognizione, istruttoria e valutazione delle proposte delle rappresentanze sociali che oggi è sostituito o dalla assenza di rapporti, oppure, come si è visto di recente, da una illustrazione a cose fatte di ciò che il governo ha già deciso di fare.

Il Paese ha bisogno di cambiare in questa direzione. Non servono gli esempi francesi contradetti dalla realtà dei fatti o le sortite come la raccolta di firme per una proposta di legge di revisione costituzionale che alla fine appare un modo per dimostrare di essere…vivi.

Se c’è una esigenza da sostenere in questo momento e della quale le opposizioni per prime dovrebbero farsi carico è quella di attuare la Costituzione, non mutilarla ancora. Ma proprio questa appare la soglia più difficile da oltrepassare: quella di restituire qualità vera alla politica.

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