di Mario Bozzi Sentieri
Del Cnel (il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) si parla poco e spesso – senza cognizione di causa – male. Derubricato ad “ente inutile”, al punto da essere fatto oggetto, nel 2016, di un fallimentare referendum abrogativo, a causa del quale Matteo Renzi si giocò la poltrona da Presidente del Consiglio, il Cnel, costituzionalmente inserito tra gli “organi ausiliari” dello Stato repubblicano, continua a svolgere il suo ruolo di rappresentanza sociale (quale espressione delle categorie e degli interessi organizzati della società civile) e di “consulenza” delle Camere e del Governo. Con scarsa considerazione politica – bisogna dire – malgrado il lavoro che, di stagione in stagione, ha svolto, attraverso la produzione di disegni di legge, di rapporti e studi, oltre all’ encomiabile opera di archiviazione dei contratti collettivi ed integrativi.
Ora alla guida del Consiglio è destinato ad arrivare – su indicazione del Governo Meloni – Renato Brunetta. Si tratta di una scelta non banale, visto il curriculum di Brunetta, ministro di vari governi ed insieme professore ordinario di Economia del lavoro, autore di numerose pubblicazioni scientifiche, in materia di economia del lavoro e di relazioni industriali, ed insieme polemista arguto. Anche rispetto ad un tema cruciale qual è quello della “partecipazione”, a cui ha dedicato significativi passaggi nel libro La mia utopia. La piena occupazione è possibile (Milano 2014), evidenziando come sia il dato dell’innovazione a rappresentare l’essenza dello spirito del capitalismo e come sia l’allargamento della base sociale dell’innovazione, con il sempre maggiore coinvolgimento dei lavoratori e dei membri della società nel processo di formazione della conoscenza e dell’innovazione, a rendere necessaria un nuovo approccio al tema del salario e quindi dei processi d’inclusione sociale. Sia chiaro: non tutto quanto ha scritto Brunetta sul tema è condivisibile, il suo arrivo alla guida del Cnel può tuttavia essere utile per dare uno scossone ad un ente ingessato dalla routine istituzionale.
Il Cnel – dal nostro punto di vista – ha in sé grandi potenzialità, rappresentando, come emerse in sede di dibattito alla Costituente, uno degli elementi più significativi ed evolutivi rispetto alla tradizione giuridico-sociale post unitaria e liberale, legandosi idealmente, se non manifestatamente, per evidenti motivi di opportunità politica, con le analisi e le esperienze corporativistiche e con la migliore scuola del solidarismo cattolico. Ne fu testimonianza un dibattito, che, all’ Assemblea Costituente, vide la partecipazione, tra gli altri, di Costantino Mortati, Amintore Fanfani, Luigi Einaudi, Giuseppe Di Vittorio.
Fanfani, in questa sede, si spinse oltre l’idea dell’ “organo ausiliario”, proponendo – senza successo – una prima bozza dell’articolo che affermava: “Al controllo sociale dell’attività economica, pubblica e privata e al coordinamento della legislazione relativa presiedono -(o attendono)- Consigli economici regionali e nazionali costituiti con rappresentanze professionali e sindacali”.
Questioni vecchie – si dirà. Ma questioni che – oggi, come ieri – sono il nocciolo della debolezza del nostro sistema-Paese, della sua vita politica, dell’ordinamento sociale, della stessa tenuta economica.
“Il Cnel – ebbe a dichiarare il presidente del Censis ed ex presidente Cnel Giuseppe De Rita – rappresenta l’unico presidio della dimensione intermedia: quella del sindacato, del volontariato, dell’associazionismo, del localismo, delle province. La ricchezza del Paese sta nei corpi intermedi. E questa dimensione intermedia non è imputabile né al Governo, né al Parlamento. La vera sfida
oggi è rafforzare l’identità del Cnel”.
Più che abolito – come pensava Renzi – il Cnel va perciò “ripensato” e rilanciato in ragione delle sue potenzialità e del ruolo che le categorie produttive ed il mondo del volontariato potrebbero svolgere, in una prospettiva autenticamente “ricostruttiva”, con lo sguardo rivolto al “dopo”, alla necessità-opportunità di sperimentare concretamente un modello partecipativo “integrale”, capace di coniugare competenze e funzioni legislative.
Il Cnel, in questo ambito, potrebbe insomma riappropriarsi di un ruolo non secondario, che proprio nella condivisione e nel dialogo sociale troverebbe la sua ragione d’essere ed il suo fondamento, formale e sostanziale. Siamo purtroppo agli auspici. La speranza è che la Presidenza Brunetta ridia ruolo e centralità ad un organo costituzionale per troppi anni sottovalutato e mal sopportato.
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