(13. QUALE SOVRANISMO?) INDIPENDENZA, ENERGIA E RIVOLUZIONE DIGITALE. L’INNOVAZIONE È SOVRANA

(13. QUALE SOVRANISMO?) INDIPENDENZA, ENERGIA E RIVOLUZIONE DIGITALE. L’INNOVAZIONE È SOVRANA

Di Gian Piero Joime

La sovranità di un Paese dipende anche dalla capacità di produrre e acquisire innovazioni e tecnologie, e di utilizzarle per lo sviluppo e la modernizzazione delle infrastrutture e delle strutture, sia pubbliche che private. L’era che stiamo vivendo e’ caratterizzata da una serie di ondate globali  di innovazioni, in tutti i settori,  che sta mutando radicalmente e molto velocemente gli equilibri dei poteri nazionali e internazionali. L’obiettivo di questo breve saggio e’ quello di cercare di capire come il Sistema Italia stia affrontando due grandi rivoluzioni in atto – la rivoluzione digitale e la transizione energetica – ovvero se potrà  determinare ciò che avviene, ed avverrà, nel proprio territorio e se potrà definire, oppure subire,   la direzione della grande trasformazione. 

L’Italia, la Rivoluzione Digitale e il 5G

Nel 2050 la terra ospiterà 9 miliardi di persone, di cui il 70% risiederà nelle città. Oltre che dalla crescita demografica e dall’imponente processo di urbanizzazione, l’epoca contemporanea è dominata dalla digitalizzazione delle attività e dalla corsa all’innovazione: basti pensare che i dispositivi connessi a Internet nel 2020 sono circa 50 miliardi. I continui progressi tecnologici viaggiano ad un ritmo multiplo rispetto al passato, anche recente. La rivoluzione digitale ha creato un mondo interconnesso di prosumer di dati e informazioni,  la cui principale identità e’ quella digitale: più persone posseggono più dati di quanto sia mai successo prima. E oggi la comunicazione non è solo possibile tra persone, ma sempre di più tra dispositivi, database, sensori, autovetture o anche elettrodomestici. Miliardi di computer sono costantemente usati per  navigare attraverso questa inondazione di dati: ricevono, trasformano e producono informazioni. E la diffusione di dati e informazioni continuerà a crescere progressivamente, come è prevedibile, anche perché i computer sono tra le più ampie fonti di produzione di altri esabyte.

Il regno digitale   e’ condotto  da pochi attori che,  motivati da un’incrollabile fede  nell’innovazione  definiscono gli standard; attori che sono intrinsecamente e culturalmente sovranazionali  – Cisco, Intel, IBM, Microsoft, Ericsson, Apple, Facebook, Amazon – assieme a sempre  più  potenti imprese asiatiche – Samsung, Sony, Huawei, ZTE, Alibaba – anche   organizzate  in polis  supertecnologiche, come Shenzhen in Cina e Bangalore in India.

La scelta per un Sistema Paese è obbligata:  tra fare le tecnologie digitali  oppure rincorrerle,  cercando di massimizzarne i vantaggi per il mantenimento del potere e dello status quo, status quo sempre in squilibrio proprio per l’incessante sviluppo delle innovazioni, delle applicazioni, e per la disseminazione incontrollata dei centri di produzione delle informazioni. Una modernizzazione dipendente dunque dalla dotazione tecnologica e dalla potenza di rete, da quanti giga passano nell’autostrada della comunicazione.  E il 5G, per la rete mobile,  è il nuovo mantra tecnologico, così come la larga banda per la rete fissa, per lo sviluppo incessante dei flussi di informazione e di comunicazione.

Il 5G è un sistema competitivo molto complesso ed è  certamente strategico: è un’infrastruttura, su di essa passerà e quindi dipenderà, la crescita economica futura; su questa infrastruttura passeranno dati, sia personali (inclusi conti correnti, carte di credito, informazioni mediche) che sensibili (comunicazioni industriali o relative a questioni di sicurezza nazionale); è un mercato imperfetto, ovvero conferisce una posizione di vantaggio a chi vi opera: ed e’  oggi dominato dalla tecnologia cinese di Huawei e Zte.  La  nuova frontiera della comunicazione mobile, porta d’accesso per lo sviluppo di nuove applicazioni, dall’internet of things all’intelligenza artificiale, dalla smart city  al data mining, è il dominio tecnologico di poche imprese multinazionali – soprattutto cinesi e americane – che dettano standard e regole in un contesto certamente  ordinato da norme europee e nazionali ma ovviamente condizionate dalle evoluzioni tecnologiche, nate sotto le insegne delle star multinazionali. In questo vortice competitivo, oggi il ruolo dello Stato italiano è quello del banditore della gara delle frequenze, e del concessionario degli spazi pubblici; o del promotore, comune per comune, delle sperimentazioni delle applicazioni.

Agli  Stati nazionali rimane  dunque il cruciale ruolo di concessionari delle frequenze, affidati a gestori di proprietà nazionale o multinazionale: in Italia, Tim, Vodafone, Wind-Tre, Fastweb, Iliad. I gestori delle frequenze sono i protagonisti della filiera e hanno la regia del sistema, definendo e scegliendo le tecnologie, promuovendo le applicazioni: e’ dunque fondamentale comprenderne gli assetti proprietari e le dinamiche funzionali . Il loro gioco competitivo sembra obbligato a cercare, e trovare, sia  la leadership tecnologica sia  quella del prezzo, con la conseguenza dei progressivi rendimenti decrescenti e la costante, e costosa,  rincorsa all’innovazione . I gestori sembrano stretti a tenaglia a monte dai fornitori delle tecnologie abilitanti – soprattutto Huawei e Zte, seguiti da Nokia e Ericsson –  e, a valle della catena del valore, dai service e content provider, e spesso anche di apparati integrati, che di fatto e per logiche di mercato guidano la domanda finale: Amazon e Alibaba, per il commercio, Facebook e Twitter per la comunicazione, Google per le informazioni e per la posta elettronica, Messanger, Wapp e Telegram per la messaggistica, Apple per gli smart phone e le applicazioni. Quello che emerge  è che l’Italia, in questa era del grande giga,  non detiene la sovranità digitale. In questo settore strategico per lo sviluppo del sistema paese, dopo gli anni bui  della retorica sulla deregulation e sulla liberalizzazione, il dissolvimento della Stet e lo smembramento della Sip, allo Stato non rimane che un 10% di Tim (dove il 23% è della francese Vivendi e il 10% del fondo americano Eliott). Mentre i nostri amici europei mantengono un controllo pubblico ben maggiore: in Germania lo stato detiene il 32% di Deutsche teleKom, in Francia il 30% di  Orange; Telenor e’ per il 54% dello Stato norvegese, in Svizzera il 51% di Swisscom è dello Stato federale. Certo non è bello guardarsi indietro, ma pensare che agli albori della telefonia mobile, in fondo solo pochi anni fa, non solo la Sip era tutta italiana, ma lo erano anche Omnitel (Olivetti) e Wind (Enel). Una bella potenza di giga, ora in gran parte dissolta. Una corretta definizione del ruolo pubblico nel settore dell’ict è determinante:  lo sviluppo del 5G è coordinato dai gestori – Tim, Vodafone (multinazionale) e Wind (cinese) – ma soprattutto basato su standard tecnologici di un grande player cinese, Huawei, che nello specifico del 5G ha una posizione da incumbent,  e due contendenti follower europei, Nokia e Eriksson. In piu Huawei è  presente sia nel segmento delle stazioni di base e del  software che in quello dei device, ed è il player più economico e con maggior esperienza. Grazie al know how acquisito in Cina e alle economie di scala e quindi ai  suoi prezzi inferiori, Huawei ha al momento una chiara leadership globale. Se ad esempio ipotizziamo una filiera 5G per un settore, ad esempio quello della difesa, con terminali Huawei (cinesi), Wind (cinese) come gestore, e una tecnologia di componenti e software realizzata da Huawei, è chiaro che la gran mole di dati e informazioni di quel settore passa attraverso un sistema controllato da imprese cinesi, e in più appartenenti al governo cinese. Nell’era digitale  sono mutati gli attori e gli equilibri del potere; il  controllo delle informazioni e dei dati, la sapiente diffusione degli stessi, diviene un elemento fondamentale della sovranità. La scelta della tecnologia abilitante da parte del gestore delle frequenze -Tim o Vodafone  o Wind – non può essere solo tecnico-economica ma diventa anche una scelta politica e strategica.

Dunque il controllo delle dinamiche del 5G è una priorità strategica del nostro sistema paese,  ma il problema è che, nel 5G, non c’è una sovranità digitale italiana,  e neanche europea. Ci sono però tutte le competenze scientifiche, tecnologiche e manageriali . E se è  difficile  tornare indietro nel tempo e ricostituire  Stet e Sip, non rimane che riconquistare la giusta posizione nel capitale di Tim, ed il controllo strategico e operativo della più importante compagnia di telecomunicazioni nazionale, e di conseguenza delle tecnologie e delle reti.

L’Italia e la Rivoluzione Energetica

Chi controlla le forme e le fonti di energia, chi gestisce le evoluzioni delle tecnologie per l’energia, controlla, da sempre, la sostanza basale del mondo. E oggi  lo scenario energetico mondiale e’ attraversato da una fase di profondo mutamento dovuto al riequilibrio del potere  nel sistema  delle fonti fossili e alla grande avanzata delle fonti rinnovabili.  La transizione energetica impone un nuovo paradigma tecnologico-industriale, basato sulla costante e rapida crescita delle energie rinnovabili nel sistema energetico mondiale: una transizione che da un lato risponde alle esigenze di riduzione dei fattori climalteranti e inquinanti,  e dall’altro rivitalizza settori molto maturi, quali quelli dell’energia da fonti fossili e della mobilità, con innovazioni incrementali di prodotto e di processo, come il fotovoltaico, le batterie, le auto elettriche ed ibride.

L’insieme di queste innovazioni  costituisce la base per una transizione epocale,  dalla generazione del  carbone alla generazione del sole, dallo stock al flusso;  muta gli equilibri del potere mondiale e  determina  una   rivoluzione nelle strutture e nelle dinamiche del sistema energetico, e quindi economico, dove il fattore chiave di successo è l’innovazione tecnologica, più che la proprietà dei giacimenti.

Le rinnovabili aprono ampi spazi competitivi in territori sino a poco fa molto chiusi,  delimitati da vecchi e forti poteri, scatenando una più o meno palese guerra dell’energia, da sempre non solo  combattuta con la regola del rapporto  di scambio e con le armi del potere d’acquisto, per la conquista della posizione dominante all’interno di ogni singola fonte energetica, e per la ricerca del predominio tra le diverse fonti. Ma se il potere sulle fonti fossili si esplica nella proprietà dei giacimenti e nel controllo delle rotte, il potere sulle fonti rinnovabili, di certo anche legato alla proprietà delle miniere delle materie prime, è basato  però soprattutto nella capacità di fare innovazione e sulla forza del sistema industriale per la produzione delle componenti tecnologiche. Una guerra per il dominio dell’energia dunque combattuta con le moderne armi della tecnologia, dei brevetti, della finanza e del marketing, dove  Stati e imprese competono  con le armi dell’esplorazione, della ricerca e sviluppo  e del prezzo per la definizione delle direzioni strategiche,  per il reperimento delle risorse e delle materie prime, per la determinazione  delle regole, per la ricerca e per il possesso delle innovazioni, per la nascita di nuove filiere industriali. Certo la guerra dell’energia è stata ed è ancora guerra vera e propria, combattuta con missili, navi ed eserciti,  per la conquista di giacimenti di gas, petrolio, carbone;   ma  in quest’epoca, nell’era della transizione energetica, il fronte si sta spostando sempre di più nella ricerca e sviluppo, nell’innovazione e nei brevetti. E in questo complesso e vitale sistema competitivo,  i prezzi e le tecnologie, la generazioni distribuita e il gas, il nucleare e il petrolio, dipendono non solo dalle capacità industriali ma anche, e direi soprattutto, dai funzionamenti delle istituzioni pubbliche, determinanti nel definire le direzioni, nel promuovere e dirigere  la ricerca e le innovazioni, nel coordinare i processi di  modernizzazione: dunque  da quel sistema che si può definire Stato imprenditore.

La prospettiva della transizione energetica sembra particolarmente favorevole per  l’Italia,  da sempre molto dipendente  dalle importazioni di fonti energetiche fossili (e inoltre privata dopo il referendum del 2011 dell’opzione nucleare) ma potenzialmente ricca di capacità industriale e di spinte innovative, aprendo la strada ad una maggiore  autonomia energetica. Le energie rinnovabili sono già oggi integrative al mix energetico nazionale, specialmente per la quota di elettrico,  anche se  non sostitutive; ovviamente, maggiore  sarà la capacità di dotarsi di fonti rinnovabili, minore sarà la dipendenza dalle fonti fossili.  Le rinnovabili raggiungono già nel 2018 una quota di circa il 20% nel mix energetico,  e l’Italia ha la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili più elevata tra i principali Paesi europei, seconda solo alla Svezia. Le rinnovabili elettriche sono dunque  per l’Italia  – già quinta potenza mondiale per installazione di fotovoltaico, e ricca, nelle università, nei centri di ricerca e nelle imprese, di capacità tecnologiche e vocazione all’innovazione – una grande opportunità per definire una strategia industriale di medio periodo,  in grado di ridurre la dipendenza italiana dalle diverse fluttuazioni internazionali,  e soprattutto  di creare una consistente  filiera industriale  per la produzione di pannelli solari e di  pale eoliche, di inverter e di sistemi di storage, di smart grid, di auto e di colonnine elettriche

Da grandi acquirenti di sistemi e impianti per le rinnovabili dovremmo e potremmo trasformarci in grandi produttori, non solo quindi stimolando la domanda ma anche l’offerta di tecnologie e sistemi, per posizionarci come leader della transizione energetica. Infatti, se e’ vero che il nostro paese è tra i primi al mondo per impianti di fotovoltaico,  e’  anche vero che questi sono in gran parte realizzati con tecnologie e apparati esteri, con il rischio di mantenere la dipendenza per le importazioni dalle fonti fossili e allo stesso tempo divenire dipendenti anche dalle tecnologie per le rinnovabili.

Per  l’Italia, in questa  turbolenta era della transizione energetica,  si potrebbero dunque  aprire  nuove opportunità di posizionamento strategico nello scenario internazionale, dovute sia alla dotazione infrastrutturale che alla importante produzione di innovazioni, sebbene di nicchia, sia  al ruolo dominante, a livello globale,  di ENEL, di TERNA, di ENI.

Una politica energetica e ambientale coerente alla grande transizione rappresenta  un’occasione formidabile di sviluppo del paese, coniugando indipendenza energetica, salvaguardia ambientale e sviluppo industriale, in cui gli enti pubblici e le imprese innovative devono e possono svolgere un ruolo trainante ed esemplare, di sintesi tra crescita economica e sovranità energetica.

Nella Transizione Energetica l’Italia può e deve schierarsi senza alcun dubbio o esitazione con le “forze dell’innovazione”, cercando di assumere una posizione di leadership mondiale.

Crescente indipendenza energetica, attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, sviluppo industriale basato sulle nuove tecnologie diventano obiettivi da cogliere senza ulteriori tentennamenti. Le istituzioni pubbliche e le grandi imprese del settore, quali ENI, ENEL e TERNA, sono chiamate tutte, e possibilmente tutte insieme, a sostenere e a dare continuità al perseguimento di questi obiettivi. L’obiettivo principale è certamente quello di ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero e di trasformarci in un Paese produttore. Non mancano naturalmente le competenze, non mancano le idee, non mancano le opportunità. Sembra però mancare la ferma volontà e la capacità di saper mantenere la rotta del sistema-paese verso gli obiettivi di crescita per tempi medio-lunghi, che sono quelli richiesti, e non per inseguire continue e emergenze o rassegnarci ai tatticismi. E soprattutto occorre rifondare una classe dirigente votata più all’innovazione che alla burocrazia, in forte controtendenza rispetto alle direzioni, sia pubbliche che private, degli ultimi decenni.

La rivoluzione digitale e la transizione energetica pongono l’Italia di fronte a nuove impegnative sfide. L’ampia diffusione dello spirito e della cultura dell’innovazione saranno determinanti per evitare la colonizzazione tecnologica e anzi assumere posizioni di leadership; solo così l’Italia potrà  determinare ciò che avverrà, nel proprio territorio e potrà definire la direzione della grande trasformazione.   

Non resta che esercitare con coraggio la nostra volontà e la nostra tenacia. E la nostra energia.

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