Di Luca Lezzi
Qualsiasi tipo di analisi necessita di un’approfondita conoscenza dell’argomento e del più vasto confronto fra le tesi già espresse a tal riguardo. Dalle colonne del quotidiano Il Foglio l’esperto di America latina Maurizio Stefanini intervistando l’ex direttore di Foreign Policy Moisés Naím cerca di equiparare forme e leader di populismi antitetici. In particolare, secondo l’ex ministro venezuelano, “Trump sarebbe la cosa più simile a Chávez che potesse essere prodotta dagli Stati Uniti”.
Un’affermazione che farebbe inorridire i tanti fans sfegatati del tycoon che, in nome della dicotomia tra destra e sinistra, vedono nell’inquilino della Casa Bianca il modello di una destra occidentalista in grado di combattere le sinistre, tra le quali figurano ovviamente anche quelle del socialismo del XXI secolo latinoamericano.
Se la questione riguardasse solamente i tifosi che indossano magliette e gadget con lo slogan “Trump 2020” in attesa del riconteggio dei voti delle elezioni presidenziali in Nordamerica forse le dichiarazioni di Naím potrebbero anche passare sottotraccia ma a renderle davvero interessanti per il dibattito politico è l’appiattimento dei sovranisti, o presunti tali, su categorie indicate dall’apparato mainstream.
Detto della differenza, non più così evidente, tra destra e sinistra assistiamo increduli a come troppi leaders si impantanino in prese di posizione in politica estera prive del benché minimo senso stando a quanto sostenuto in casa propria. Un cortocircuito che consente alla destra del continente europeo di simpatizzare per quella latinoamericana nonostante i punti di convergenza siano molti meno di quelli di rottura.
Se il sovranismo, per dirla con le parole del professor Gervasoni nasce in assenza e nell’incapacità di una riproposizione del nazionalismo per via della mancata sovranità completa dello Stato in cui si vive (si vedano le interferenze degli organismi sovranazionali a riguardo), allora ben si comprende che un personaggio come Jair Bolsonaro che ha declassato il Brasile da potenza regionale e tassello fondante dei Brics ad avamposto statunitense in Sudamerica non possa essere un esempio da seguire.
Oltre gli steccati ideologici vengono incontro gli esempi anti-imperialisti e di riappropriazione delle risorse naturali e dell’industria che nel Sud del mondo sono stati attuati da movimenti populisti di ispirazione socialista in nome di un recupero del concetto di Patria.
Ecco i concetti, il lessico quando si guarda al di fuori della propria casa mutano e allora ben farebbero politici, addetti ai lavori e semplici supporters a dotarsi di un glossario per comprendere cosa siano la destra e la sinistra, lì dove la prima nel mondo latinoamericano è ridotta ad un ammasso di liberali oligarchici che intendono tutelare i propri privilegi riparandosi sotto l’ombrello di lady Usa e con cui al massimo si può sorseggiare un caffè sui temi etici imposti da un conservatorismo di natura confessionale.
Sarebbe ora di piantarla con l’inseguimento senza sosta al progressismo mondialista che oggi chiede il riconoscimento del fantoccio statunitense in Venezuela e ieri ci ha privati della libertà di commerciare con Stati con i quali avevamo rapporti privilegiati (Russia, Iran, Libia).
Se il sovranismo vorrà porsi come evoluzione di un populismo di destra dovrà superare l’esame di maturità che lo ponga oltre l’atlantismo altrimenti di tanti bei proclami resterà tanto fumo e neanche un po’ di arrosto.
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