PARTECIPAZIONE, STORIA DI UN’IDEA CHE NON TRAMONTA

PARTECIPAZIONE, STORIA DI UN’IDEA CHE NON TRAMONTA

Di Francesco Carlesi

«Il sistema sociale che relega il lavoratore al ruolo di strumento o di ingranaggio è in contraddizione secondo me con la natura della nostra specie, anzi perfino con lo spirito di una sana produttività. Senza voler contestare ciò che il capitalismo realizza a profitto non solo di singoli individui ma anche della collettività, la realtà è che esso porta in sé i motivi di una massiccia e perpetua insoddisfazione». La critica agli eccessi del laissez-faire vergata da uno dei massimi esponenti della terza via economica e della partecipazione, l’apparentemente insospettabile Generale De Gaulle, è solo una delle tante perle riportate alla luce da Mario Bozzi Sentieri nel libro appena uscito L’Idea Partecipativa dalla A alla Z,  una lunga rassegna di uomini, parole e istituzioni legati alla “partecipazione”.

La politica del leader francese era indirizzata al progressivo inserimento dei lavoratori nella gestione e nell’amministrazione delle grandi aziende, e si arenò solamente con la sconfitta nel referendum popolare del 1969. A remare contro furono in particolare i grandi industriali, che temevano “l’intrusione” dei lavoratori nei processi decisionali da realizzarsi attraverso un processo di crescita e “nuova consapevolezza”. A fianco a questi ultimi paradossalmente i sindacati (nella loro componente marxista), i quali non riuscirono ad andare “oltre” la lotta di classe, incapaci di pensare alla collaborazione capitale-lavoro e all’idea del lavoratore quale parte attiva di un processo economico dinamico e complesso che poteva anche non esaurirsi nello “scontro” tra padroni e operai, sbocciando in strade diverse da quelle di improbabili rivoluzioni proletarie.   

Nonostante tutto questo, l’idea partecipativa rappresenta ancora oggi un tema di grande interesse a livello europeo e internazionale, dentro cui potrebbero trovarsi alcuni antidoti al dominio della tecnica, alla crisi sociale e soprattutto alle miopi e frequenti operazioni di delocalizzazione e privatizzazione in nome del “mercato”.  In questo senso, Bozzi Sentieri ci guida attraverso un lungo viaggio che parte nell’Ottocento per arrivare fino ai giorni nostri, quando in alcune direttive dell’Unione Europea riemerge il tema della partecipazione, già inserito nel 1974 all’interno del primo programma di azione sociale europeo, che prevedeva “il diritto dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla partecipazione”. Non stupisce dunque che il coinvolgimento delle maestranze alla gestione e/o agli utili delle imprese trovi spazio in numerosi Stati del Vecchio Continente, a diversi livelli e gradi di intensità, dettagliatamente elencati nel libro. La “cogestione” tedesca è uno dei modelli che storicamente più di altri ha attirato interesse (in Italia si è distinto recentemente Enrico Grazzini), vagheggiata già nel 1928 dall’economista Naphtali. Ad ispirare la Mitbestimmung contribuì anche la Repubblica Sociale Italiana, che istituì nel 1944 i Consigli di Gestione, i quali riunivano dirigenti e sindacalisti, in alcune aziende importanti come Fiat, Ansaldo e Mondadori. L’esperienza della socializzazione trovò spazio nell’articolo 46 della Costituzione dell’Italia democratica e repubblicana del 1948, insieme a diversi altri granelli di continuità con il dibattito economico tra le due guerre, nei passaggi in cui si parla di “programmazione” e “funzione sociale della proprietà” in particolare.  Anche il Cnel, la cui storia è riportata nella sua complessità all’interno del volume, risente dell’idea di “terza via” promossa dal fascismo.

Negli anni ’20 e ’30, l’Italia cercò di edificare un nuovo Stato e lanciare un messaggio rivoluzionario, “oltre” comunismo e capitalismo, attraverso il corporativismo, che voleva elevare il “lavoro” a fondamento della Nazione.  Il corporativismo è analizzato con dovizia di particolari da Bozzi Sentieri, dalle sue radici nell’Antica Roma fino alle luci e ombre del Ventennio, in cui un modello troppo centralizzato e autoritario faticò a lasciare spazio alle istanze dei lavoratori, come riconobbe un protagonista diretto come Diano Brocchi. Nel dopoguerra, il messaggio corporativo fu raccolto da professori e studiosi del calibro di Ernesto Massi e Gaetano Rasi, il quale animò l’esperienza dell’Istituto di Studi Corporativi (1971-1992) cercando di elaborare proposte e riflessioni in sintonia con l’evoluzione della società e della scienza economica, in nome della programmazione impegnativa e concertata delle competenze ai processi produttivi e politici. Interessanti analisi riguardarono in particolare il concetto di “corpi intermedi” (famiglie, categorie, associazioni), formazioni sociali che lo Stato dovrebbe essere in grado di “inserire” proficuamente al suo interno attraverso la partecipazione. Inoltre, l’Istituto si interessò spesso di Dottrina Sociale della Chiesa, la quale sin dall’Enciclica Rerum Novarum (1891) aveva espresso la necessità di superare “lo scontro tra le classi” in vista del “bene comune”. Inizia qui un lungo viaggio fatto di personaggi e documenti ufficiali che arriva fino alla Caritas in Veritate (2009) di Benedetto XVI, passando per Pio XI e Giovanni Paolo II. Negli stessi ambienti si mossero tantissimi autori, come Toniolo, Chesterton, Mounier, Spiazzi e Zampetti, ricchi di intuizioni profonde che Bozzi Sentieri giustamente ricorda. L’opera dell’autore non si ferma qui, dalle diverse declinazioni di concetti come “democrazia”, “impresa” e “sindacalismo”, fino a personaggi della storia nazionale (Olivetti ed economisti dimenticati come Arena e Masci) e internazionale (Valois, Duguit e Sombart per dirne solo alcuni), passando per le esperienze innovative del “planismo” o del “piano Meidner”, praticamente nessun tassello dell’idea partecipativa viene dimenticato.  Lo sforzo dell’autore, come riporta lui stesso in apertura, vuole essere quello di fornire un bilancio ma anche “un’ipotesi di lavoro” rivolta ai giovani per “rimettere al centro del confronto contemporaneo” la partecipazione. Nel suo piccolo, il neonato Istituto “Stato e Partecipazione” (di cui Bozzi Sentieri è parte integrante) ha raccolto l’invito, con l’ambizione di rilanciare lo studio storico, il dibattito culturale e fornire idee e proposte per superare le crisi (economiche, sociali, sanitarie, valoriali) dei nostri tempi, mettendo in primo piano proprio il patrimonio partecipativo. Perché la partecipazione, come scrive Veneziani in un passaggio citato nel libro

«non è solo un prender parte, ma è soprattutto un esser parte, un sentirsi parte. Si partecipa solo se si avverte il bisogno di integrazione comunitaria, si partecipa solo se si percepisce l’esigenza di riconoscersi in una comune appartenenza, in una comune provenienza, in un comune destino. La partecipazione è dunque il tentativo di risvegliare un’identità collettiva dopo le lacerazioni prodotte dalla modernità e di ridestare un solidarismo di tipo nuovo. La scommessa partecipativa dei nostri anni è quella di ritrovare la dimensione comune del noi, non calandola dall’alto di un’auctoritas statale, ma ritrovandola nell’anima stessa della società e nel cuore degli uomini. E nel bisogno diffuso e inesausto di riconoscersi in un’identità collettiva».

(M. Bozzi Sentieri, L’Idea Partecipativa dalla A alla Z, I Libri del Borghese, Roma 2020)

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