AGRICOLTURA, INNOVAZIONE, CORPORATIVISMO. UN VIAGGIO ATTRAVERSO I DIARI DI GIUSEPPE TASSINARI (1933-1944)

AGRICOLTURA, INNOVAZIONE, CORPORATIVISMO. UN VIAGGIO ATTRAVERSO I DIARI DI GIUSEPPE TASSINARI (1933-1944)

Di Sandro Righini

Chiunque abbia intrapreso gli studi agrari, secondari o universitari, si sarà imbattuto almeno una volta nel Manuale dell’Agronomo, il cosiddetto Tassinari, dal nome di colui che ne promosse e coordinò la stesura insieme ad un nutrito gruppo di validi collaboratori. La prima edizione di questo corposo compendio delle scienze agrarie vide la luce nel giugno 1941, la seconda nell’aprile 1944, a pochi mesi dalla morte di Tassinari stesso, sopraggiunta il 21 dicembre a causa delle gravi ferite riportate in seguito ad un mitragliamento aereo mirato a colpirlo, avvenuto il giorno precedente, mentre dalla sua residenza di Rivoltella sul Garda si stava dirigendo a Salò. In un paese come il nostro, che sulla damnatio memoriae ha costruito buona parte del suo racconto storico, il nome di un fascista convinto come Tassinari ha resistito ai pruriti dei censori, tanto che oggi siamo alla sesta edizione del Manuale (2018), rinominato semplicemente “nuovo Tassinari”; edizione preceduta da quelle del 1951, del 1968, del 1976 e del 1998. Ma se il nome si è salvato dall’epurazione, una coltre di dimenticanza è stata gettata sull’opera, la vita e il pensiero di quello che potremmo tranquillamente ascrivere tra i maggiori agronomi italiani del secolo scorso, oltreché uomo politico di rilievo nell’Italia degli anni ’30. Anche il grande storico del fascismo Renzo De Felice, che lo riscoprì negli anni ’80, dedicò pochi passaggi a Tassinari in seguito alle vicende che lo videro, dopo l’8 settembre 1943, designato dai tedeschi come probabile capo di un contro-governo Badoglio. Il merito di una più attenta riscoperta del suo operato la si deve in particolare a due studiosi quali Giancarlo Di Sandro¹, professore emerito dell’Università di Bologna, già docente di economia e politica agraria e Marco Zaganella², docente di storia dell’economia all’Università degli studi de L’Aquila. La loro produzione saggistica ha permesso di delineare un quadro più approfondito su Giuseppe Tassinari, riconoscendone l’importanza degli studi scientifici in ambito economico-agrario e l’influenza della sua azione politica, non esauritasi con il Fascismo, ma ereditata in larga parte dalla Riforma Agraria della Prima Repubblica.

Accanto a questa produzione saggistica contemporanea, nel 2019 sono stati finalmente pubblicati i Diari dell’agronomo perugino. Grazie al minuzioso lavoro di ricerca e riordino delle carte del nonno, effettuato dalla nipote Monica Franchi, figlia della secondogenita di Tassinari, Marcella (1926-2012), è stato possibile fornire ad un più vasto pubblico di lettori queste importantissime pagine raccolte in un unico corpus. Come ha scritto il professor Giuseppe Parlato nell’introduzione al testo, questi Diari rappresentano una testimonianza storica tanto più significativa perché esenti da rivisitazioni o correzioni postume, avvenute invece per molte memorie di personaggi sopravvissuti al crollo del Regime. Usciti con il titolo di Il fascista che disse di no a Hitler per i tipi di Luni Editrice, sono costituiti da una prima sezione intitolata Diari di vita, dove sono raccolti tre diversi taccuini. Il primo inizia il 21 marzo del 1933 e si conclude, tra pause e riprese, l’11 novembre del 1941, con un appendice (non datata, ma presumibilmente del 1942) scritta dopo la destituzione dal ruolo di Ministro dell’Agricoltura; il secondo parte dal 3 luglio 1943 e giunge alla fine di settembre dello stesso anno; il terzo, avente come principio e termine le date del 23 gennaio e del 29 ottobre 1944. Questa sezione comprende tutta la parabola ascendente del Tassinari politico (Diario I) e le tragiche vicende che lo coinvolsero dal luglio 1943 fino alla morte (Diari II e III). Sicuramente le pagine più ricche di contenuti storici e politici, con una serie di testimonianze dirette di primo rilievo, tra cui gli incontri personali con Mussolini e con Hitler. Una seconda sezione è invece costituita dai Diari Africani, suddivisi a sua volta in tre quaderni di annotazioni personali sul viaggio intrapreso in Africa Orientale come sottosegretario all’agricoltura, avvenuto dal 4 gennaio al 6 marzo del 1937. Seguono poi la relativa Relazione al Duce sulla missione effettuata in AOI, gli Appunti di viaggio in Cirenaica e Tripolitania del 1934, per concludersi con una serie di Appunti sui Servizi agrari coloniali. Parte ricca di descrizioni paesaggistiche, di riflessioni tecniche sulle possibilità produttive dei territori coloniali e sulle eventuali azioni da intraprendere per il loro sviluppo economico. Un lavoro a cui Tassinari dedicò moltissima attenzione, convinto com’era che con l’impegno tecnico, l’organizzazione del lavoro ed il dovuto tempo le colonie dell’Africa orientale e quelle libiche avrebbero potuto garantire l’indipendenza economica dell’Impero italiano. Forse previsioni un po’ troppo ottimistiche, viste le difficili condizioni pedo-climatiche di quelle aree dell’Africa, i notevoli costi paventati per le opere auspicate e, soprattutto, il precipitare degli eventi bellici. Pagine, ad ogni modo, di assoluto interesse perché testimoni di quella che fu una costante del pensiero di Tassinari e del fascismo stesso attraverso la dottrina socio-economica del corporativismo: ovvero l’idea che tecnica e volontà avrebbero potuto dischiudere, attraverso una rivoluzione graduale, nuovi orizzonti di crescita economica e di avanzamento civile.

L’assalto al latifondo

Impreziosiscono il testo una trentina di foto d’epoca inerenti il viaggio africano di Tassinari, le bonifiche agrarie in Italia tra gli anni ’20 e ’30 e la trasformazione del latifondo siciliano (’40-’41). Quest’ultimo fu il progetto più caro a Tassinari, che lo impegnò già negli anni precedenti alla sua salita al ministero, in quanto sottosegretario alla Bonifica Integrale. Come rende noto egli stesso nei Diari, il progetto vide l’approvazione diretta di Mussolini, il quale volle mantenere la massima segretezza in merito. Questo permise a Tassinari di approntare al meglio il lavoro, redigendo il piano finanziario, sondando il terreno politico siciliano e fissando poi i capisaldi della legge, che sarebbe venuta alla luce come la n.1 del 2 gennaio 1940, appena due mesi dopo la nomina dell’agronomo perugino al dicastero dell’agricoltura. L’obiettivo di quello che fu definito con enfasi l’Assalto al latifondo, nella terminologia bellicistica cara al regime, era l’appoderamento di 500.000 ettari a coltura estensiva o incolti seguendo le direttive così esposte da Tassinari stesso nei Diari:

«Raggiungere gli scopi finali della bonifica che erano la colonizzazione e la trasformazione dell’ordinamento produttivo esistente; attuare l’opera con la proprietà, ma anche senza se questa si fosse manifestata contraria ed assente; creare un ente di colonizzazione che affiancasse i proprietari volenterosi ed eventualmente sostituisse quelli impossibilitati o inadempienti; introdurre nuovi rapporti di lavoro che cointeressassero il colono alla produzione e lo rendessero partecipe all’esecuzione dei miglioramenti fondiari poderali (il nuovo rapporto fu di mezzadria migliorataria); esigere una direzione tecnica adeguata; costituire gradualmente la piccola proprietà contadina, attraverso il patrimonio terriero dell’ente»³

Dunque, rompere la secolare stagnazione del latifondo per costituire, un passo alla volta, la proprietà coltivatrice intensiva. Prima attraverso la redenzione della terra, poi con una progressiva partecipazione dei contadini alla gestione aziendale,  sotto la vigile guida tecnica ed educatrice dell’Ente di Colonizzazione. Quanta somiglianza, come dicevamo in precedenza, con i futuri capisaldi della Riforma Agraria degli anni ’50, la quale vide appunto tra i suoi protagonisti tanti di quegli agronomi messi in campo dal fascismo, molti dei quali allievi diretti di Tassinari, uno su tutti: Giuseppe Medici. Le tensioni sociali del dopo guerra, con la presenza di un Partito Comunista forte, spalleggiato dal colosso sovietico e sempre pronto a minacciare spinte eversive, portarono però ad una Riforma che per andare incontro alle pressanti richieste di terra dei contadini, sul finire degli anni ’40 sfociate in sanguinose rivolte, finì per effettuare un’eccessiva parcellizzazione dei poderi, incapaci di garantire poi la sussistenza economica della famiglia colonica. In particolare in molte aree del Sud, si realizzerà una Riforma disorganica, come ben evidenziato da uno studioso del tema quale Alfonso Pascale⁴, che porterà alla creazione di aziende coltivatrici dove ancora mancavano strade, servizi essenziali, manifatture. Una situazione che nell’arco di pochi anni porterà all’abbandono della terra e all’esodo verso le industrie del Nord milioni di contadini meridionali. Al di là comunque di notevoli risultati positivi, alla Riforma Agraria del dopo guerra era andata mancando quella gradualità perseguita dal fascismo,che in troppi studiosi hanno confuso e continuano a confondere con la repressione delle aspirazioni alla proprietà dei ceti rurali, la quale aveva invece un suo valido fondamento. E non era quello di rappresentare il braccio armato dei possidenti terrieri – tesi molto parziale e ridimensionata dalle più recenti ricerche storiche. Per Tassinari e tanti altri tecnici agrari in camicia nera impiegati nelle politica agraria del regime, la gradualità nel passaggio dallo status di colono a quello di proprietario, era un prerequisito necessario per dare una corretta educazione imprenditoriale ai futuri coltivatori. La formazione della proprietà coltivatrice non poteva avvenire dall’oggi al domani, a meno di non voler incorrere in pericolose perdite produttive o in progetti fallimentari, come avvenuto nella Russia comunista. La consapevolezza che agricoltura ed industria dovessero correre a braccetto verso la modernizzazione del paese, si radicava nella convinzione che senza una crescita disciplinata ed organica della prima, non sarebbe potuta svilupparsi la seconda, in particolare nel meridione d’Italia.

«Quando il piatto Tavoliere di Puglia sarà costellato di case, quando l’uniformità melanconica dei latifondi jonici, siciliani e sardi sarà spezzata, e la strada, l’albero e la casa daranno segno di vita dove sembrava che non regnassero altro che l’abbandono e la morte, allora in queste terre destinate per secoli alla pastorizia o a una povera agricoltura sorgerà il nuovo assetto industriale che porterà nuovo fervore di vita, nuova ricchezza e insperato benessere a queste popolazioni»

Un tecnico idealista

L’Italia era un paese in via di sviluppo, ancora solcato al suo interno da profonde contraddizioni sociali ed economiche, ma in cui si era intrapresa quella strada che lo studioso argentino Marcelo Gullo ha definito insubordinazione fondante⁶, ovvero un’accelerazione dirigista ed autoritaria per superare i limiti del liberalismo e raggiungere appieno lo status di nazione moderna. Il detto popolare ammonisce che tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare e ovviamente, dall’elaborazione teorica alla realizzazione pratica delle politiche economiche e sociali del fascismo molte furono le resistenze, i compromessi, le derive  e gli errori di percorso. Da annoverare in ambito agrario anche l’incomprensione, via via trasformatasi in risentimento, di buona parte dei ceti rurali, i quali nelle trincee del Carso si erano battuti con la promessa di ricevere la terra e vedevano ancora sfumare in lontananza le proprie speranze. Ma la politica agraria del fascismo e in particolare l’Assalto al latifondo di Tassinari, furono soltanto propaganda dietro cui agì sempre e solo la compressione reazionaria delle libertà? Quando la Sicilia fu completamente in mano agli alleati, i grandi proprietari terrieri e i gabellotti para-mafiosi che riprendevano piede sull’isola, si appoggiarono agli inglesi e agli americani per ripristinare i propri “diritti” sui latifondi, mentre i contadini siciliani richiedevano a gran voce di continuare sulla strada intrapresa dalle leggi fasciste del 1933 e del 1940, che invece furono soppresse. Già nel 1941, ad appena un anno dalla promulgazione della legge n.1, circolava clandestinamente un libello intitolato Elogio del Latifondo Siciliano, teso a criticare l’opera dell’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, esaltando la funzionalità dei vecchi sistemi di conduzione, contro ogni ingerenza dello Stato. Fu scritto da Lucio Tasca, esponente di spicco degli agrari isolani e personaggio apprezzato negli ambienti mafiosi e separatisti⁷. Gli americani, nel settembre del 1943, si affrettarono a nominarlo sindaco di Palermo. Forse allora l’Assalto al latifondo non fu solo velleitaria propaganda. La pubblicazione di questi Diari è utile anche per far riemergere le tracce di queste vicende e i loro protagonisti dimenticati. Ciò non significa sostenere un’esaltazione acritica del ventennio fascista o negare che si commisero, come già detto, gravissimi errori; ma nemmeno misconoscere quanto di positivo venne fatto. Camillo Pellizzi parlò del Fascismo come di una rivoluzione «mancata», «cioè frenata da derive autoritarie e incompiuta a causa della guerra e del breve tempo a disposizione, mentre le sue aspirazioni sociali erano in pieno sviluppo e svolgimento teorico»⁸. Lo stesso Tassinari, nelle sue memorie, esternò posizioni simili, aggravandole con descrizioni poco lusinghiere di buona parte delle gerarchie fasciste. L’agronomo perugino, personalità capace di coniugare le sue competenze scientifiche con una buona maestria politica, non riuscì mai a far prevalere quest’ultima sopra lo spirito del tecnico poco incline al compromesso ed abituato a lavorare sui fatti. Una caratteristica, che unita alla sua antipatia per le false lusinghe e all’amore per l’onesta, lo porterà inevitabilmente ad avere diversi problemi all’interno del partito, sperimentando sulla propria pelle i limiti reali del Fascismo fattosi regime, che per lui era infatti «in profonda crisi per colpa delle persone, non dell’idea».

Nelle ultime pagine del Dario I, rievocando il percorso della sua carriera politica, con una punta di amarezza e rabbia per la destituzione dalla carica di Ministro (‘39-‘41), Tassinari si domandava come fosse stato possibile per lui raggiungere tale ruolo «non avendo alcuna delle qualità più accreditate: incompetenza, disonestà, immoralità, cortigianeria ed adulazione»¹⁰. Esternazioni simili sono ripetute spesso nelle pagine dei Diari già a partire dal 1933 e poi, successivamente, nei burrascosi giorni della Repubblica Sociale. Segno tanto di una forte conflittualità all’interno degli alti ranghi del partito, spesso alimentata da piccolezze personali, quanto del carattere difficile ed intransigente di Tassinari. Memorabile a tal proposito, il resoconto del colloquio avuto con Mussolini il 3 luglio 1943, a pochi giorni dal Gran Consiglio che destituì il capo del governo, annotato nel Diario II e di cui vale la pena riportare uno stralcio:

«Uno dei tanti profittatori avrebbe potuto cogliere l’occasione per chiedere qualche cosa (ministro di Stato; l’accademia; un titolo nobiliare). Pensai che anziché la mia persona era bene guardare all’Italia e parlar chiaro sulla reale, disastrosa situazione alimentare, che portava il paese alla fame; sulle infinite balordaggini della politica economica; sul modo come egli era – e voleva essere, si può aggiungere – servito. […] Con le bugie di cronaca, non si fa la storia di un regime, dissi!»¹¹

Atteggiamento di schiettezza che Tassinari mantenne sempre anche di fronte all’alleato germanico. I suoi rapporti accademici con le Università tedesche e la profonda stima nutrita nei suoi confronti da funzionari di primo rango del ministero agricolo, quali Herbert Backe e Konrad Mayer Hetling, come abbiamo visto lo portarono ad esser designato quale possibile capo di un governo provvisorio. I tedeschi si auspicavano che mettendo un tecnico all’apice del comando, avrebbero avuto gioco facile nel fare i propri interessi di espansione territoriale. Ma Tassinari dimostrò di non esser uomo facilmente manovrabile e fu irreprensibile sull’intangibilità dei confini italiani al Brennero e su quelli orientali. Per uno che aveva combattuto la prima Guerra Mondiale nel corpo degli Alpini insieme al fratello Ottorino, quest’ultimo caduto nella battaglia di cima Sieff e sepolto al sacrario militare di Redipuglia, simili richieste non erano negoziabili. Fu la posizione di un italiano convinto »che era questione d’onore tener fede all’alleanza ma che un governo non poteva erigersi sulle baionette tedesche»¹². Unitamente alla liberazione di Mussolini e al desiderio stesso del Führer di una figura politica e non di un tecnico alla guida della neonata Repubblica Sociale, Tassinari venne scartato. Non si può dunque parlare di un vero e proprio no detto in faccia ad Hitler, come allude il titolo odierno dato ai Diari. Tassinari mantenne anzi sempre buoni rapporti con i tedeschi; molto migliori per esempio di quelli di Mussolini, il quale, come testimoniato dall’ultimo colloquio avuto tra il nostro e il Duce, in data 26 ottobre 1944, non aveva più alcuna fiducia in loro. Riporta per iscritto Tassinari:

«Mi ha citato molti episodi per dimostrare che non siamo più indipendenti, né sovrani nel nostro Paese. Ha affermato che il proposito dell’alleato è quello di contendere a metà l’Italia settentrionale ma di abbandonarla, servendosene solo come terra ritardatrice dell’avanzata. Impressionato ho insistito per scongiurare questo, perché col Führer chiarisca equivoci, incomprensioni e insista sulla necessità di difendere la pianura padana»¹³

Un passo del genere fa comprendere ulteriormente l’inestimabile valore di questi Diari, facendoci concludere che oltre ad illuminare più in profondità la complessa figura di Tassinari, essi rappresentano una preziosa chiave di lettura storica delle tensioni ideali, dei progetti, delle mancanze e delle contraddizioni di un ventennio che, nel bene e nel male, ha segnato e continua a segnare profondamente la storia d’Italia. Un periodo con cui non abbiamo fatto doverosamente i conti, mistificandolo o esaltandolo in maniera acritica, per generare poi una confusione che ha nociuto non poco, anche in termini di vite umane, al nostro paese in perenne crisi d’identità. I Diari di Tassinari assumono allora un valore che supera la sfera personale, per farsi collettivi. Parlano di noi, delle debolezze, dei vizi, ma anche della forza e dell’energia che ci contraddistinguono in quanto figli di una terra e di una storia. Sono un viaggio attraverso l’Italia e gli italiani. Le memorie si aprono con una dedica ai figli «perché nel rievocare la fatica del babbo, traggano incitamento per compiere la loro»¹⁴; una dedica che letta oggi travalica le intenzioni iniziali dell’autore, per trasformarsi in un monito attuale, affinché non venga meno l’impegno nell’affrontare le sfide individuali e collettive che ci attendono in questo difficile frangente storico per il nostro paese. Un richiamo alla coscienza e alla responsabilità.

Note

1 – G. Di Sandro, La scuola bolognese degli economisti agrari (1925-1981). Da Giuseppe Tassinari e Luigi Perdisa a Enzo di Cocco, Franco Angeli Edizioni, 2017. Cfr. anche G. Di Sandro, M. Canali, B. Farolfi e M. Fornasari, L’agricoltura e gli economisti agrari in Italia dall’ottocento al novecento, Franco Angeli Edizioni, 2011.

2 – M. Zaganella, Dal fascismo alla DC. Tassinari, Medici e la bonifica nell’Italia tra gli anni Trenta e Cinquanta, Cantagalli, 2010.

3 – G. Tassinari, Il fascista che disse di no a Hitler. Diari, Luni Editrice, 2019, p.80.

4 – A. Pascale, Radici & Gemme. La società civile delle campagne dall’Unità ad oggi, Cavinato Editore International, 2013.

5 – G. Tassinari, Autarchia e bonifica, Zanichelli, 1940,  p.202.

6 – M. Gullo, Insubordinazione e sviluppo. Appunti per la comprensione del successo e del fallimento delle nazioni, Fuoco Edizioni, 2014. Cfr. in proposito anche F. Carlesi, La terza via italiana. Storia di un modello sociale, Castelvecchi, 2018.

7 – M. Carastro, Azienda Agricola Maniace. 1941-1943, Associazione Bronte Insieme Onlus, 2012, reperibile in rete all’indirizzo: http://www.bronteinsieme.it/2st/nelson_caracciolo_1.htm

8 – F. Carlesi,  La terza via italiana. Storia di un modello sociale, cit., p.153

9 – Giuseppe Tassinari, Il fascista che disse di no a Hitler. Diari, cit., p.100.

10 – Ivi, p.75.

11 – Ivi, p.91.

12 – Ivi, p.95.

13 – Ivi, p.116.

14 – Ivi, p. 49.

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