IL COMUNISMO COME DERIVATO POPOLARE DELL’ANSIA ECONOMICA BORGHESE

IL COMUNISMO COME DERIVATO POPOLARE DELL’ANSIA ECONOMICA BORGHESE

Di Cristian Leone

Nel 2021 ricorrono i 100 anni dalla nascita del Partito Comunista Italiano e stiamo assistendo a una vera e propria celebrazione, finanziata principalmente con fondi pubblici, del partito che «contribuì a creare la Repubblica italiana». Lo scopo di questo articolo non è quello di tracciare una breve contro-storia del comunismo o di riportare alla luce i crimini e le violenze che il comunismo, internazionale ed italiano, si porta dietro dalla sua fondazione ai giorni nostri ma quello di rispondere a una domanda: il comunismo ha fini ideali? Una delle opinioni maggiormente diffuse nell’opinione pubblica è la convinzione che il comunismo autentico, quello insomma teorizzato da Marx, non si sia mai concretizzato e che i suoi ideali di «giustizia» e «uguaglianza» siano astrattamente giusti ma irrealizzabili. Quello che viene contestato al comunismo dunque non è la validità delle proprie idee ma la loro messa in pratica. In questo sentimento popolare esiste una parziale verità in quanto abbiamo assistito alla fase della dittatura del proletariato mentre il comunismo (del resto il sistema meno studiato dallo stesso Marx), nella sua fase finale consistente nella soppressione dello Stato e della proprietà privata, non si è mai realizzato. Tuttavia, tralasciando le tappe specifiche della dialettica marxiana, possiamo constatare come a livello valoriale, per il comunismo, i concetti di «giustizia» e «uguaglianza» siano sostanzialmente identici a quelli prospettati dal capitalismo.

IL MATERIALISMO STORICO

Per comprendere realmente la portata del mio assunto bisogna partire dallo studio dell’ossatura filosofica marxiana: il materialismo storico. La teoria del materialismo storico subordina ogni elemento politico, culturale, sociale, religioso a questioni di carattere economico. La storia viene vista come un processo dialettico che evolve e si trasforma sotto la spinta di dinamiche di natura socio-economica. Essa coincide con la trasformazione delle forme di produzione, cioè con il variare di epoca in epoca delle modalità con cui gli uomini soddisfano i propri bisogni. La base materiale, secondo Marx, costituisce il motore della storia. Essa coincide con i «modi di produzione» che caratterizzano le varie epoche storiche, i quali, a loro volta, si compongono di due elementi fondamentali: le forze produttive (cioè gli elementi indispensabili alla produzione, come la forza-lavoro, le materie prime, i macchinari ecc.) e i rapporti di produzione (le forme di organizzazione del lavoro e le relazioni tra i soggetti coinvolti). L’insieme di tali elementi, espressi con il termine «modi di produzione», costituisce quella che Marx definisce «struttura» della società, ovvero la sua ossatura economica, la sua base materiale. È la struttura, in questa visione, a determinare la sovrastruttura, cioè l’insieme delle varie produzioni spirituali e culturali: le dottrine etiche, scientifiche, artistiche, filosofiche, le istituzioni giuridiche e religiose, le idee politiche ecc. Secondo la dottrina marxista è l’elemento economico a rappresentare la struttura portante della società, esso è la causa di tutto, viceversa, la morale, la politica, la religione ecc. sono tutte sovrastrutture, ovverosia riflessi, conseguenze della struttura economica, che vanno ricondotti al complesso dei rapporti produttivi che si stabiliscono in una determinata epoca storica. Il materialismo storico tratta tutti questi «prodotti spirituali» come elementi derivanti dal sistema economico che assume così una centralità assoluta. Tutta la molteplicità in cui si articola la vita umana viene insomma fatta dipendere dallo sviluppo di quelli che Marx chiama «modi di produzione». Il teorico del comunismo riduce la complessità del fenomeno sociale alla mera struttura materiale, non riconoscendo che il fattore economico è solo uno tra gli altri che deve essere posto sullo stesso piano degli aspetti «sovrastrutturali». Una breve ma esaustiva sintesi della visione semplicistica elaborata dal materialismo storico viene tracciata da Ardengo Soffici:

L’idea che i socialisti si fanno del mondo è questa: un capitalista borghese e sfruttatore alle prese con un magro popolano sfruttato. La cultura, le scienze, le arti, le delicatezze, le eleganze, i raffinamenti, le filosofie, la bellezza, i sentimenti, gli amori, le passioni – tutto ciò insomma che fa la vita così terribilmente complessa, così colorita, così varia, multiforme, incoercibile non è nulla per loro. Tutto è grigio, e l’universo intero una specie di ragnatela squallida senza confini né orizzonti, eterna, in mezzo alla quale un ragno cerca di succhiare una mosca alla quale Karl Marx ha insegnato che non deve lasciarsi succhiare.

CAPITALISMO E COMUNISMO: UN IDENTICO PIANO VALORIALE

La conoscenza del materialismo storico è fondamentale non solo per una corretta conoscenza del marxismo ma soprattutto per avere una visione generale delle forze motrici della storia. Il materialismo, infatti, come è noto, non è un’esclusiva comunista. Il materialismo, sia nella sua declinazione liberale, sia in quella marxista, è il risultato di un unico «male borghese». Lo storico Sternhell mette così in evidenza la comune derivazione del materialismo: «Poco importa, in fin dei conti, che questo materialismo assuma l’aspetto della democrazia liberale o del marxismo: in entrambi i casi si tratta dello stesso male borghese. È un male economico, politico e sociale, ma prima di tutto morale». È proprio sul piano morale, sul piano dei valori che comunismo e capitalismo convergono. Il benessere materiale è il perno dell’azione umana in entrambe le ideologie, solo che per il comunismo questa deve essere attribuita ai proletari che la producono. La gerarchia sociale tanto del comunismo quanto del capitalismo si forma su lo stesso concetto di ricchezza-potenza, solo che a classi invertite. Per entrambi i sistemi la struttura è data dall’economia, il resto è una sovrastruttura, cioè un riflesso e quindi un’emanazione diretta della struttura economica. Il fine di queste due dottrine utilitariste è la reificazione dell’uomo, cioè la sua riduzione a cosa, a pura materialità che trova la sua piena realizzazione nell’acquisizione di ricchezza fisica.

Il marxismo tenta, quindi, un abbattimento paradossale del sistema capitalistico perché vuole liberare l’uomo ribadendo l’importanza dell’unico elemento – quello economico – che costituisce il fattore di schiavitù del sistema borghese. La sua lotta al capitalismo è parziale perché si occupa solo del lato materiale tralasciando totalmente quello spirituale. L’identificazione tra ricchezza e valore è l’assunto che equipara sul piano morale capitalismo e comunismo, sancendo di fatto la filiazione diretta del socialismo dall’economia classica. Il marxismo rappresenta dunque un prodotto delle idee borghesi, è, come lo definisce il sindacalista Edgardo Sulis, «un derivato popolare dell’ansia economica borghese». Per il comunismo, che si proclama continuatore dell’economia classica, conquistare la ricchezza significa impadronirsi del valore, per questo motivo il piano morale è il medesimo della borghesia, lo spostamento avviene soltanto trasportando il concetto dal grado personale a quello collettivo della classe. Il denaro resta comunque un fine e mai un mezzo. L’ideologia comunista accetta il concetto di valore proprio della borghesia e ne mira alla conquista, essa si pone teoreticamente sullo stesso piano dell’avversaria. È la quantità di denaro posseduta a determinare il vertice della gerarchia sociale secondo l’equazione «ricchezza uguale valore».

Il comunismo ha quindi un fine ideale? Meglio dire materiale. Uguaglianza e giustizia sono valori nobili? Si, lo sono, ma solo nella misura in cui, ipso facto, si accetta l’intero impianto del sistema capitalistico ben sintetizzato nel detto «chi non ha, non è». Che la ricchezza sia posseduta dalla classe padronale o da quella proletaria, dunque, poco importa, l’importante è conquistare il benessere materiale: «Capitalisti e comunisti? Avari contro invidiosi! Era tutta qui, dunque, la gran contesa!». Céline non avrebbe potuto sintetizzarlo meglio.

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