Disfatti l’Italia e gli italiani, ora bisogna rifare entrambi: la necessità di una riforma costituzionale

Disfatti l’Italia e gli italiani, ora bisogna rifare entrambi: la necessità di una riforma costituzionale

In data 26 marzo 2021 l’Istituto promosse un convegno, in collaborazione con UniDolomiti e UniBellinzona, sulle riforme costituzionali a cui parteciparono professori e studiosi con relazioni di alto profilo. Pubblichiamo l’introduzione tenuta da Lorenzo Maria Pacini, moderatore dell’incontro, un testo appassionato che offre diversi spunti di riflessione, in un momento in cui il libero confronto culturale diventa sempre più difficile.

Di Lorenzo Maria Pacini

La crisi come opportunità

Parlare di riforma costituzionale può sembrare un argomento riservato agli addetti ai lavori esperti della materia, abituati come siamo a delegare la nostra riflessione ad altri nella speranza di venire assolti da una responsabilità; eppure, niente come la politica ci interroga personalmente, escludendo la possibilità di affidare a soggetti esterni quella parte che possiamo fare soltanto noi. In questo senso, la prospettiva di una riforma del Testo Fondamentale è un progetto che parte, anzitutto, dall’acquisizione di una consapevolezza della condizione effettiva del tessuto socio-politico, e quindi anche culturale, economico e geopolitico, del nostro Paese, che come ben sappiamo si trova in una fase di transizione profondamente significativa ed altrettanto rischiosa.

La dimensione della crisi perpetua, modus operandi di una politica che si declina in tutti gli aspetti del vivere sociale, ci obbliga a valutare le reali opportunità di un cambiamento, a fronte di una situazione che oggi indichiamo come “vecchia normalità” che non era certo migliore di quella attuale, tant’è che ci ha portati dove siamo adesso. Il termine crisi, dal greco κρίσις, krysis, richiama nella sua etimologia ad una scelta da operare in vista di una trasformazione: ecco che dal dramma di una contingenza politica apparentemente negativa possiamo trarre delle opportunità per il futuro. D’altronde il crollo delle umane istituzioni, anche giuridicamente parlando, è un dato tipicizzante di tutte le crisi storiche e delle rivoluzioni, sintomo di un malessere radicato e pervasivo giunto al punto di una necrosi irreversibile, la cui risposta fisiologica non può essere altro che la rigenerazione in una nuova forma di vita.

Cogliere quest’occasione di rilancio è il fine che si è proposto il Convegno del quale questa pubblicazione è un corollario e, si spera, un trampolino di lancio per fruttuose collaborazioni ed iniziative. La riforma costituzionale è parsa a tutti i convenuti come uno di quei punti chiave da analizzare e discutere in vista di un rilancio e di una rinascita, perché come possiamo facilmente notare, l’Italia e gli italiani sono stati disfatti, pertanto ora bisogna rifare entrambi.

Ricostruire l’identità politica

Mai nella lunga e frastagliata storia d’Italia si era vissuto un periodo drammatico come quello attuale. C’è, soprattutto nei giovani, ma non solo in loro, un distacco quasi totale dallo spirito di appartenenza che rende autentica e viva l’identità nazionale di un popolo. Noi, poi, come italiani, abbiamo l’onore e l’onere di raccogliere l’eredità di millenni di civiltà e di cultura che ha rappresentato e rappresenta ancora un punto di riferimento indispensabile per il destino dell’umanità tutta.

Infatti l’unità nazionale italiana prima di diventare un fatto politico ed una realtà istituzionale è stata per secoli un fatto culturale e di civiltà cementato da una lingua, l’italiano appunto, tra le più ricche e le più studiate del mondo, capace di esprimere sensazioni e concetti che altre lingue, come quelle barbare degli anglosassoni, non sono in grado di rappresentare. L’orgoglio di essere eredi di questa storia e di questa civiltà dovrebbe bastare a rivitalizzare lo spirito identitario, che si sta perdendo. Se poi consideriamo il territorio dove viviamo con le sue bellezze ineguagliabili, con le vestigia inesauribili di uno stupendo passato, rinnovato e perpetuato nei secoli, con le sue intramontabili tradizioni popolari, con le sue coste, i suoi monti, i suoi siti, le sue acque che tutto il mondo ci invidia, dobbiamo congratularci per la nostra fortuna di essere Italiani e difendere, con le unghie e con i denti, questa nostra prerogativa.

Da questi presupposti, per niente banali, dobbiamo ritrovare la forza e lo stimolo per ritornare protagonisti del nostro futuro e riprendere il ruolo che ci compete nella società del futuro. Da qui la necessità di ricostruire la nostra Identità Nazionale, tornando nelle scuole ad insegnare ed imparare i motivi del nostro orgoglio, con l’aiuto delle famiglie rigenerate ed utilizzando istituzioni partecipative tutte da costruire. Dobbiamo tornare a capire che tutte le testimonianze umane, sociali, civili e politiche dei cittadini appartengono alla storia necessariamente unitaria della comunità.

Ne deriva che, anche e soprattutto quando la vita della comunità si trova, come accade adesso, ad essere dispersa ed oggetto di suggestioni antinazionali, chi si batte per la riconquista – in termini civili e politici – dell’unità di tutta la comunità, deve interpretare la sua storia anche nelle sue componenti “eretiche” e nelle sue ore di smarrimento. Per questo, chi crede nei valori permanenti della comunità, non potrà individuare nei propri concittadini dei nemici, ma soltanto degli avversari da recuperare ad un superiore ordinamento civile che tutti interpreti e rappresenti.

Nei nostri 160 anni di unità politica e istituzionale dell’Italia, abbiamo conosciuto tre tremende guerre fratricide irrisolte: la “conquista” del Sud, col corollario del fenomeno del “brigantaggio”, la guerra civile 1943-45 e la lotta armata degli anni 70/80.  Queste tre guerre civili vanno affrontate e superate per far nascere una nuova identità nazionale. Solo dopo questo grande sforzo, potremo ripartire dalle premesse storiche, culturali e di civiltà, per ancorarle alla lingua ed al territorio, al campanile: la voglia di difendere la terra dove lavoro, dove hanno sudato e sono morti i miei cari, i miei amici, i miei vicini. Cos’è la passione per i genitori, se non attaccamento alla propria terra? Come si manifesta l’attaccamento alla propria terra, se non attraverso l’impegno civile? Qual è la forma più alta di impegno civile, se non l’impegno sociale?

Da qui la definizione di una rinnovata identità nazionale: un popolo legato al proprio territorio attraverso un ritrovato impegno civile e sociale. La strada da percorrere è dura ma va affrontata con coraggio e lealtà.

Una volta ricostruita e rafforzata l’identità nazionale, come consapevolezza assoluta delle classi dirigenti e del popolo tutto, diventa più facile determinare dove andare, con chi allearsi, quale linea strategica abbracciare e quali scelte geopolitiche effettuare.

L’Italia tutta, pur nelle sue differenze sostanziali tra i vari territori, deve rendersi conto che proprio queste differenze rappresentano la sua forza. Il nord Italia con la sua capacità industriale può diventare una testa di ponte verso un’Europa politica tutta da costruire e deve capire che senza il sud dell’Italia diventerebbe il sud dell’Europa, ovvero non avrebbe forza per pilotare e costruire una nuova e diversa Europa, anzi, diventerebbe la cenerentola delle nazioni di questa UE pilotata e gestita indegnamente dalla Francia e dalla Germania. Il tutto grazie anche ai traditori che si sono susseguiti al governo in questi ultimi decenni, compresi quelli attualmente in carica. Il sud Italia con l’alacrità delle sue genti, dimostrata dagli enormi risultati ottenuti, nelle varie parti del mondo, da coloro che sono stati costretti ad emigrare dalla politica antimeridionale, attuata prima dai piemontesi per assoluta ignoranza e poi dalle classi politiche partitocratiche per mantenere sotto controllo i voti delle genti del sud, deve ritornare all’enorme funzione cui è destinato dalla sua collocazione geografica. L’Italia meridionale è un ponte naturale nel Mediterraneo e deve estendere la sua capacità produttiva e culturale, come ha fatto per secoli, verso i paesi dell’altra sponda, diventando così il retroterra naturale della proiezione europea del nord. Un tutt’uno indissolubile di cui Roma e le regioni centrali diventerebbero il perno unificante. Far tornare Roma agli antichi splendori nella società contemporanea è un sogno che può rivitalizzare gli Italiani tutti.

Questa visione dell’Italia, riacquistata con il nuovo senso di appartenenza nazionale, rende facile capire dove è l’interesse nazionale e semplifica enormemente le scelte da fare. Gli obiettivi sono chiari e tendono al benessere sia materiale ma soprattutto ideale e spirituale, di tutto il nostro popolo. Tutto ciò che agevola il potenziamento industriale del nord e la sua espansione all’estero è di interesse di tutta la nazione; tutto ciò che agevola il recupero del “gap” infrastrutturale del sud per metterlo in condizioni di svolgere la propria azione di ripristino dei rapporti con le nazioni del Mediterraneo è interesse di tutta la nazione. E così Roma tornerebbe ad essere il crocevia essenziale dei grandi rapporti tra il nord Europa ed il nord Africa e anche i porti Italiani potrebbero riconquistare il fulgore delle grandi repubbliche marinare italiane.

C’è molto da lavorare, c’è tanto da costruire ma è la visione di una grande Italia libera, indipendente e padrona del suo futuro che ci potrà dare la forza per affrontare gli impegni gravosi che ci attendono: tutto il popolo si dovrà rimboccare le maniche ed impegnarsi strenuamente. Ad osservare l’apparente ignavia degli attuali nostri concittadini tutto sembrerebbe impossibile; ma gli Italiani nella storia ci hanno insegnato che sono capaci di grandi cose purché abbiano i giusti stimoli.

Qua nasce il primo grande problema: l’assoluta mancanza di una classe politica degna di questo nome ed è da qui che tutti insieme dobbiamo iniziare per il bene e l’amore verso l’Italia ed il suo popolo. Non possiamo, però, non capire che, ricreare un’identità nazionale per individuare qual è l’interesse da perseguire al fine del benessere del popolo e della nazione, vuol dire necessariamente avere una visione complessiva della società cui tendere. Nella società economicista e neoliberista, impregnata di tecnocrazia e ora sempre più volta alla transizione verso il transumanesimo, ci sentiamo tutti a disagio. Ci pervade un malessere sottile di cui non ci rendiamo conto subito, ma solo quando ci soffermiamo a pensare, se ne troviamo il tempo, su dove stiamo andando, perché corriamo e soprattutto sulle ragioni profonde della vita. Un malessere che tutti soffrono, ma di cui pochi capiscono le motivazioni, soprattutto i giovani cui la distruzione della scuola, la crisi della famiglia e la fuga della religione cattolica dal suo ruolo di educatore interiore hanno tolto gli strumenti per capire e razionalizzare sé stessi.

L’aver posto l’economia al centro della società ed aver fatto assurgere il liberismo ad ideologia ha distrutto i cardini essenziali della società che proprio per definizione deve avere al suo centro l’uomo con tutte le sue valenze sia materiali che spirituali. Questa è la causa prima del malessere da estirpare; pertanto il primo paradigma da modificare è rimettere l’uomo al centro della società. Ma qui nasce un altro problema: di quale uomo stiamo parlando? Di quello destrutturato tipico della società dominata dalla techné info-digitale o quello condizionato oggi dal terrore indotto mediaticamente per un virus e che è disposto a rinunciare alle sue libertà fondamentali, alla famiglia e alla sua Fede, ammesso che ne abbia una?

È ovvio a questo punto che dobbiamo ritornare all’essenza primaria dell’uomo, l’essere creativo e pensante, capace di produzione culturale, che ha un profondo senso etico, che è erede di millenni di storia, civiltà e cultura e che è capace di trasferire ed insegnare tutto questo ai suoi discendenti. Dobbiamo far capire agli uomini di oggi che non sono delle nullità perché non hanno tesori e proprietà ma che il più grande tesoro, nascosto in ognuno di noi, è la profondità di pensiero, è la ricchezza interiore, è la forza dello spirito. Per ritornare padroni di queste capacità e porci nuovamente al centro della vita sociale serve una grande rivoluzione culturale che stravolga i dogmi economicisti della società consumista e globalizzata. Dobbiamo ricostruire il significato profondo della comunità, rigenerare lo spirito autentico della solidarietà e rendere reale il senso del sociale.

Il principale elemento di elevazione di un popolo deriva dal riconoscersi in una comune identità che diventi l’anima di tutta la comunità e noi Italiani, per essere detentori di oltre il 60% del patrimonio culturale del mondo e per parlare una lingua tra le più ricche e studiate, abbiamo la potenzialità di costruire una comunità molto solida e forte. Ed è proprio per questo che la nostra sovranità in tutti i settori è sotto attacco e la coesione del nostro popolo è in grossa difficoltà per le varie aggressioni che subiamo con la complicità della nostra sedicente classe politica.

In una rinnovata percezione dell’identità nazionale si può tornare a parlare di comunità la cui principale caratteristica deve essere far sentire tutti i cittadini partecipi delle principali scelte che si fanno. Questo nuovo e autentico protagonismo sociale richiede una formazione precisa che parta dalle scuole di ogni livello, che devono educare al senso civico, alla correttezza e al rispetto dell’autorità culturale e delle leggi, per renderci cittadini, con l’orgoglio di esserlo, di questa stupenda nazione. In pratica si tratta, come dicevamo, di attuare una vera e propria rivoluzione culturale che cambi i paradigmi della società contemporanea e ne sostituisca dei nuovi ancorati ai valori essenziali dell’uomo e alla sua essenza più spirituale che materiale.

Non possiamo lasciare ai nostri discendenti una società in decomposizione come l’attuale ma dobbiamo iniziare a costruire la comunità identitaria del futuro per tornare a goderci autenticamente la più bella nazione del mondo: l’Italia.

Verso nuove consapevolezze

A questo punto è lecito domandarsi: che fare?

L’attività culturale è al momento la soluzione più efficace. La forma partitica della politica si è dimostrata inefficacie ed ormai compromessa, non più adatta a rispondere alle esigenze concrete del popolo, al quale appartiene la sovranità, potere politico che deve essere acquisito come consapevolezza e quindi come esercizio, un diritto che ci viene dato alla nascita solo sulla carta mentre deve essere conquistato con fatica nella pratica. Il grande impegno dei molti studiosi, associazioni, centri di studio, gruppi di persone di buona volontà che si riconoscono come facenti parte di una comunità organica di destino, che un tempo eravamo abituati a chiamare Stato secondo quella nobile concezione pregna di secoli di tradizione greca, romana ed europea, sono coloro che stanno lavorando per dare all’Italia e agli italiani un futuro migliore.

Seguendo il solco tracciato entro il quale si intravedono i passi di grandi personaggi che hanno fatto la Storia, il nostro lavoro richiede un orizzonte fatti di nuove consapevolezze, adatte alle nuove generazioni in vista dell’edificazione di un risorgimento nuovo del nostro amato Paese.

Questa unione d’intenti passa per prima cosa dal riconoscimento dell’esigenza di andare oltre il XXI secolo, sapendo che la nostra battaglia comporta il ripensamento radicale di tutti gli schemi e i paradigmi conosciuti finora per quanto riguarda l’approccio alla politica, in termini di linguaggio, metodi, categorie sociali, immagini, modi di pensare e di relazionarsi con la realtà, comunicazione. L’idea stessa della politica, che deve ritornare ad essere quel prendersi cura del Bene Comune di aristotelica memoria, che gli antichi ci hanno insegnato.

Bisogna essere altrettanto consapevoli che ormai che quasi tutti gli attuali partiti rappresentano e difendono interessi di poteri economici esteri ed interni anti-nazionali, che quindi non operano per la tutela della comunità nazionale. L’attività culturale è l’unica capace di unire trasversalmente ciò che rimane della società italiana per il superamento di tutti gli schemi precedenti.

Altresì si rende necessario non utilizzare le categorie linguistiche del linguaggio politicamente corretto, creato apposta per confondere la realtà e dividere la gente. La diffusione delle idee deve avvenire dal basso e sfruttando gli ancora disponibili spazi di controinformazione validi e concreti nella rete, valorizzando la collaborazione e la solidarietà reciproca.

In questo senso, impegnarsi per congiungere orizzontalmente e trasversalmente le varie realtà territoriali operative, sia fisiche che virtuali, nelle pratiche di resistenza e produzione culturale, andando oltre i differenti retroterra culturali dei soggetti politici e trovando forza e unione nel valore del rispetto di ciascuna provenienza, condividendo il progetto di edificazione del futuro di una nuova Italia. Lavorare e camminare insieme fino al raggiungimento dell’obiettivo finale significa anche avanzare proposte di concreta modifica e rielaborazione della Costituzione vigente, al fine di rendere finalmente l’Italia un Paese orientato al futuro ed indipendente in tutti i propri aspetti, rimodulando il rapporto tra profitto e lavoro a favore di quest’ultimo, attraverso la partecipazione alla gestione delle aziende da parte dei lavoratori e attraverso l’organizzazione interna dei ruoli.

È in questa direzione che il presente convegno propone delle idee su cui riflettere, consapevoli che il pensiero deve essere “armato” e diventare azione, e questa è la parte che spetta a tutti i lettori. Se non noi, chi? Se non ora, quando?

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