Il nodo infrastrutture: è l’ora del dibattito pubblico?

Il nodo infrastrutture: è l’ora del dibattito pubblico?

Articolo apparso su Rivistaenergia.it

Di Raimondo Fabbri

Senza infrastrutture ed impianti sarà molto complicato sia affrancarsi dalla dipendenza energetica estera che procedere lungo il percorso di transizione energetica. I tragici recenti sviluppi in Europa contribuiscono a riproporre in tutta la sua necessità l’annoso problema della costruzione di consenso in Italia: è giunta anche per noi l’ora del débat public?

“Non possiamo essere così dipendenti dalle decisioni di un solo paese. Ne va anche della nostra libertà, non solo della nostra prosperità. Per questo, dobbiamo prima di tutto puntare su un aumento deciso della produzione di energie rinnovabili” in questo auspicio del Presidente del Consiglio Mario Draghi emergono i limiti che hanno contraddistinto la politica energetica nazionale degli ultimi trent’anni.

Concetti importanti che in qualche modo richiamano non solo gli enti locali e le Regioni, ma anche i cittadini ad una rinnovata consapevolezza. Senza infrastrutture ed impianti sarà molto complicato affrancarsi dalla dipendenza energetica estera. Anche qualora si giungesse (auspicabilmente) ad una maggiore condivisione e coordinamento in sede europea, si imporrà una decisa inversione di tendenza verso un approccio pragmatico, sul piano amministrativo e soprattutto su quello culturale.

Infatti, nonostante una generica condivisione degli obiettivi di diversificazione delle importazioni di combustibili fossili e finalizzati al raggiungimento della neutralità climatica, fissati in sede internazionale a cui il nostro paese ha entusiasticamente aderito, non può esserci ancora la diffusa opposizione agli impianti e alle tecnologie che ci potrebbero permettere proprio di raggiungere quei traguardi.

Non puntare solo sugli aspetti tecnici ed economici, ma sulla costruzione di consenso

Per liberarsi dal gas russo coerentemente con tali presupposti, ed in continuità con quanto suggerito da Alberto Clô su queste colonne, la classe politica ad ogni livello istituzionale dovrebbe stimolare il dibattito non puntando solo sugli aspetti tecnici ed economici, bensì costruendo un consenso intorno alle tecnologie in grado di permettere l’affrancamento, anche coinvolgendo il mondo produttivo, del lavoro e della società civile.

Un cambio di prospettiva, insomma, che da un approccio passivo nel quale l’accettabilità corrisponde ad un percorso unidirezionale, finalizzato a far superare dubbi e resistenze, ad un modello partecipato nel quale coinvolgere gli attori sociali sin dalla fase iniziale della scelta energetica.

Abbandonare la prassi, oramai inaccettabile, di inseguire gli umori e talvolta l’irrazionalità dell’opinione pubblica, può condurre l’Italia sia a raggiungere gli obiettivi fissati dal pacchetto clima ed energia della UE che a rimuovere le barriere che ci permettano di installare entro il 2030 almeno 70 GW di potenza da fonti rinnovabili.

La media dei processi autorizzativi in Italia è di 7 anni, quasi 6 anni oltre i limiti di legge

In questa direzione, come sottolineato sempre da Draghi e dagli operatori elettrici italiani, occorre superare la complessità e la durata eccessiva dei processi autorizzativi – in media di 7 anni, di cui quasi 6 anni oltre i limiti di legge – che hanno frenato ed in certi casi bloccato, molti progetti.

La molteplicità delle istituzioni coinvolte e la mancanza di un soggetto competente unico e centralizzato in grado di gestire interamente il procedimento, ha generato un sistema farraginoso, complesso e stratificato, in cui alla burocrazia si sono aggiunti i blocchi da parte di Amministrazioni Comunali e Regionali, senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze.

Attualmente sono tre gli iter autorizzativi per gli impianti da fonti rinnovabili in vigore a livello nazionale:

  1. Autorizzazione Unica (AU) che viene rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell’ambito della Conferenza dei Servizi alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate; durata massima di 90 giorni (al netto dei tempi necessari per la Valutazione di Impatto Ambientale, se prevista); il suo rilascio è di competenza delle Regioni o delle Province da esse delegate; nel caso in cui il rilascio dell’Autorizzazione Unica sia subordinato al procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale, l’iter, nel complesso, prende il nome di Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR);
  2. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) svolta per gli impianti con potenza inferiore a quella prevista per l’Autorizzazione Unica e per alcune tipologie di produzione di caldo e freddo da fonti rinnovabili; è di competenza del Comune a cui vanno presentati almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori gli elaborati tecnici di progetto, che attestano la compatibilità dell’impianto con gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi vigenti;
  3. Comunicazione al Comune è l’iter autorizzativo semplificato dedicato ai piccoli impianti di produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, assimilabili ad attività edilizia libera;

Non vi è dubbio sul ruolo di primaria importanza degli Enti pubblici, ma di fronte ad un’emergenza climatica, ora divenuta anche geopolitica, occorrerebbe adottare un ruolo propositivo e costruttivo, finalizzato alla risoluzione di eventuali criticità, piuttosto che all’apposizione di veti e ostacoli insuperabili.

A ciò si aggiungono i fenomeni di forte contrasto che nascono nei territori e che possono assumere posizioni di principio, indipendentemente dalla qualità del progetto, figlie dei fenomeni NIMBY (Not in My Back Yard, “non nel mio giardino”) e dei sempre maggiori fenomeni NIMTO (Not in My Terms of Office, “non durante il mio mandato”), a maggior riprova, in quest’ultimo caso, dell’indebolimento e della perdita di autorevolezza della Politica.

È giunta l’ora anche in Italia del débat public

Per ovviare a questi inconvenienti, lo strumento del dibattito pubblico, recentemente introdotto nel nostro ordinamento e adottato obbligatoriamente per i progetti infrastrutturali finanziati nell’ambito del PNRR, potrebbe rappresentare un importante momento di coinvolgimento, partecipazione e ascolto, finalizzato all’approfondimento serio ed obiettivo di progetti in grado di traghettarci nel processo di transizione ed indipendenza energetica.

L’aspetto paradossale della vicenda infatti, è quello che vede proprio gli impianti utili a favorire questi processi, sistematicamente osteggiati, come nel caso delle numerose contestazioni nei confronti degli impianti a biometano, fonte energetica rinnovabile e programmabile che permette di rispondere agli obiettivi di riduzione delle emissioni sfruttando le reti gas esistenti e contribuendo a incrementare la produzione nazionale.

Per non parlare dell’eolico, le cui installazioni onshore ed offshore sono continuamente alle prese con contenziosi e adempimenti che scoraggiano ricerca ed investimenti (sulle difficoltà di accettabilità sociale dell’eolico onshore è in corso di pubblicazione un articolo su ENERGIA 1.22 a firma Dominique Finon, NdR).

La strada per la diversificazione, come quella per la transizione, energetica sarà senza dubbio lastricata di insidie, esterne ed interne. Occorrerà quindi abbandonare le scelte più comode e convenienti, ovvero non cavalcare bensì superare le opposizioni anche strumentali alle infrastrutture energetiche di comitati ed associazioni, nella ricerca continua di confronto, compromesso, consenso.

Soprattutto, servirà la responsabilità di scelte coraggiose. Se nell’immediato non portano consensi elettorali, hanno però il pregio della lungimiranza e dello sguardo rivolto al futuro che, come abbiamo avuto modo di provare in questi ultimi due anni, appare sempre più incerto.

Resta aperto il nodo delle tempistiche: per quanto cruciale e imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi di diversificazione e transizione dei paesi Occidentali e dell’Italia, la creazione di consenso necessita di tempi. E di tempo, vuoi che si parli della crisi ucraina o dei cambiamenti climatici, pare ne abbiamo sempre meno.

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