Le energie rinnovabili sono già oggi integrative al mix energetico nazionale, specialmente per la quota di elettrico, anche se non sostitutive; ovviamente, maggiore sarà la capacità di dotarsi di fonti rinnovabili, minore sarà la dipendenza dalle fonti fossili. In Italia secondo le fonti Enea, nel 2018 il gas naturale con una quota del 36,5% rimane la prima fonte energetica nel mix nazionale, segue il petrolio, che contribuisce con meno del 34%, e infine, tra le fonti fossili, il carbone, che ora ha una quota di solo il 6%. Le rinnovabili invece raggiungono una quota del 19% nel mix energetico, con una crescita dell’8% di eolico e solare. Il mix di combustibili del parco termoelettrico italiano è tra quelli a minore contenuto di carbonio, con una quota di gas naturale tra le più elevate in Europa; l’utilizzo del gas naturale, infatti, contribuisce a rendere il fattore di emissioni di gas serra per la generazione termoelettrica più bassi in Europa e, tra i principali Paesi esaminati, secondo solo a quello registrato per la Svezia. Nel 2018 l’Italia ha la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili più elevata tra i principali Paesi europei, seconda solo alla Svezia.
Le rinnovabili elettriche sono oggi la grande opportunità per definire una strategia industriale di medio periodo, in grado di ridurre la dipendenza italiana dalle diverse fluttuazioni internazionali e soprattutto di creare una consistente filiera industriale per la produzione di pannelli solari e di pale eoliche, di inverter e di sistemi di storage, di smart grid, di auto e di colonnine elettriche. Una grande opportunità per l’Italia, ancora molto dipendente dalle fonti fossili, importate da pochi paesi, ma già quinta potenza mondiale per installazione di fotovoltaico, e ricca, nelle università, nei centri di ricerca e nelle imprese, di capacità tecnologiche e vocazione all’innovazione.
Ma se e’ vero che il nostro paese è tra i primi al mondo per impianti di fotovoltaico e’ purtroppo anche vero che questi sono in gran parte realizzati con tecnologie e apparati esteri, con il rischio di mantenere la dipendenza dalle fonti fossili e divenire dipendenti anche dalle tecnologie per le rinnovabili. Da grandi acquirenti di sistemi e impianti per le rinnovabili dovremmo e potremmo trasformarci in grandi produttori, non solo quindi stimolando la domanda ma anche l’offerta di tecnologie e sistemi, per posizionarci come leader della transizione energetica.
Per l’Italia, in questa turbolenta era della transizione energetica, si potrebbero dunque aprire nuove opportunità di posizionamento strategico nello scenario internazionale, dovute sia alla dotazione infrastrutturale, l’Italia è tra i primi paesi al mondo per parco fotovoltaico installato, che alla importante produzione di innovazioni, sebbene di nicchia, che al ruolo dominante, a livello globale, di Enel, di Terna, di ENI. Se occorre difendere un ruolo strategico di grande cliente per il gas e il petrolio, allo stesso tempo sembra necessario aumentare la quota di rinnovabili nel mix energetico nazionale, sia per diminuire la dipendenza energetica, sia per aumentare il potere contrattuale nel mercato delle fossili.
Una strategia energetica con un chiaro e forte piano d’azione per lo sviluppo delle rinnovabili elettriche si adatta inoltre alle caratteristiche strutturali del sistema socioeconomico italiano, caratterizzato dall’interazione tra grande impresa e piccole medie aziende, e da un’alta propensione all’innovazione. La struttura industriale italiana continua ad essere caratterizzata, nonostante le crisi strutturali e le vendite di importanti imprese nazionali, non ultima la Magneti Marelli, dal binomio “grande impresa” e distretti locali; si pensi al ruolo nazionale e internazionale di ENEL per l’elettrico e di ENI per gli idrocarburi, di TERNA per le reti distributive, di Leonardo per le tecnologie, di Ferrovie per la mobilità. Le rinnovabili elettriche, pensando sia a strutture di medio-grande dimensione, sostitutive delle centrali termoelettriche e capaci di servire i bisogni energetici di distretti e macroaree, sia allo sviluppo della generazione distribuita, sono oggi la grande opportunità per definire una strategia industriale di medio periodo, in grado di ridurre la dipendenza italiane dalle diverse fluttuazioni internazionali e soprattutto di creare una consistente filiera industriale per la produzione di pannelli solari e di pale eoliche, di inverter e di sistemi di storage, di smart grid, di auto e di colonnine elettriche.
Una politica energetica e ambientale coerente alla grande transizione rappresenta un’occasione formidabile di sviluppo del paese, coniugando indipendenza energetica, salvaguardia ambientale e sviluppo industriale, in cui gli enti pubblici e le imprese innovative devono e possono svolgere un ruolo trainante ed esemplare, di sintesi tra crescita economica e sovranità energetica. Mentre sembra d’altra parte plausibile, in questo scenario di progressivi e rapidi e turbolenti cambiamenti, il rischio della deriva periferica, o al massimo del destino subalterno, per quei sistemi paese che non riusciranno a cogliere il potenziale del cambiamento, a definire modelli di sviluppo adeguati, e mancheranno di coraggio nelle scelte politiche e nelle innovazioni.
Nella «guerra dell’energia» l’Italia può e deve schierarsi senza alcun dubbio o esitazione con le “forze dell’innovazione”, quelle delle fonti energetiche rinnovabili, cercando di assumere una posizione di leadership mondiale. Crescente indipendenza energetica, attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, sviluppo industriale basato sulle nuove tecnologie diventano obiettivi da cogliere senza ulteriori tentennamenti. Il rischio grande, forse fatale, è quello di ridursi a giocare un ruolo sempre più periferico e, alla fine, subalterno. Le istituzioni pubbliche e le grandi imprese del settore, quali ENI, ENEL e TERNA, sono chiamate tutte, e possibilmente tutte insieme, a sostenere e a dare continuità al perseguimento di questi obiettivi. L’obiettivo principale è certamente quello di ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero e di trasformarci in un Paese produttore. Non mancano naturalmente le competenze, non mancano le idee, non mancano le opportunità. Sembra però mancare la ferma volontà e la capacità di saper mantenere la rotta del sistema-paese verso gli obiettivi di crescita per tempi medio-lunghi, che sono quelli richiesti, e non per inseguire continue e emergenze o rassegnarci ai tatticismi. Non resta che esercitare con coraggio la nostra volontà e la nostra tenacia.
Ho scritto l’introduzione al libro “La guerra dell’energia” nel gennaio del 2020, sessanta anni dopo la ancora oggi misteriosa morte di Enrico Mattei, l’ uomo che dedico’ la Sua vita alla costruzione del modello energetico italiano. Mi sembra quindi naturale rendergli omaggio, e riportare un Suo breve e noto discorso: «La geografia della fame è una leggenda: è legata solo alla passività, all’inerzia creata dal colonialismo nelle popolazioni autoctone. Faceva comodo al colonialismo incoraggiare la fatalità, la rassegnazione. Io leggo sempre i vostri discorsi e quello che più mi ha colpito è la lotta contro la fatalità e la rassegnazione. Ho lottato anch’io contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese: che l’Italia fosse condannata a essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche. Queste fonti energetiche le ho individuate e le ho messe in valore e ne ho tratto delle materie prime. Ma prima di far tutto questo: ho dovuto fare anch’io della decolonizzazione perché molti settori dell’economia italiana erano colonizzati, anzi, direi, che la stessa Italia meridionale era stata colonizzata dal Nord d’Italia! Il fatto coloniale non è solo politico: è anche, e soprattutto, economico. Esiste una condizione coloniale quando manca un minimo d’infrastruttura industriale per la trasformazione delle materie prime. Esiste una condizione coloniale quando il giuoco della domanda e dell’offerta per una materia prima vitale è alterato da una potenza egemonica: anche privata, di monopolio o di oligopolio? Nel settore del petrolio questa potenza egemonica oligopolistica è il cartello. Io lotto contro il cartello non solo perché è oligopolistico ma perché è maltusiano e maltusiano ai danni dei paesi produttori come ai danni dei paesi consumatori».
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